Un enorme sfera di pietra, rotolante, una rolling stone, rincorre i nostri eroi in un labirinto sulle alture del Perù. Poco dopo il protagonista si libra nel cielo appeso a un ombrello volante. In Paddington In Perù, il nuovo film sul famoso orsetto con la valigia, in uscita al cinema il 20 febbraio, nel giro di pochi minuti appaiono queste due citazioni: I Predatori dell’Arca Perduta, il primo film di Indiana Jones, e Mary Poppins. È in questi pochi minuti che abbiamo le coordinate del film. Che è prima di tutto un film per famiglie, di quelli della miglior qualità, quelli di un tempo che quasi non si fanno più. Ma, a livello narrativo, segue gli schemi del più classico cinema d’avventura, quello nato negli anni Quaranta e rivissuto negli Ottanta proprio con Indiana Jones e i suoi emuli: il viaggio in luoghi lontani e sconosciuti in grado di stupire a ogni passo. Abbiamo visto il film, in proiezione stampa, con dei bambini e loro hanno apprezzato. E se lo dicono loro, il film è riuscito.
Inizia proprio in Perù, in un breve prologo, il nuovo film di Paddington. Vediamo l’orsetto ancora piccolo, e conosciamo la storia del suo legame con la Zia Lucy. Poco dopo siamo a Londra, negli appartamenti della famiglia Brown, dove Paddington ormai è di casa. Qui sta accadendo qualcosa: i figli crescono e ognuno sembra stare per conto suo, quella famiglia sembra essere meno unita di prima. Arriva però la notizia che la Zia Lucy non sta bene. Paddington così decide di partire per il Perù e di farsi accompagnare da tutta la famiglia Brown. Questa nuova avventura farà bene a tutti, che torneranno uniti come un tempo.
Farà bene alle famiglie vedere questo film con i propri figli. Paddington in Perù è davvero uno di quei film che non si fanno più: semplici, diretti, di buoni sentimenti, ma mai stucchevoli. Semplice è il risultato: ma è chiaramente un film che mescola attori e personaggi creati al computer, in cui c’è un lavoro accurato e certosino. Creato al computer, ovviamente, è Paddington, orsetto dalla simpatia e dalla dolcezza irresistibili. Fotorealistico, ma non troppo, ha quel bel pelo da orsetto di pelouche che sembra uscire dallo schermo e che, tornando bambino, ti viene voglia di abbracciare. Paddington è corretto, è empatico, è intelligente. Come non volergli bene?
Intorno a questo personaggio virtuale c’è un cast reale da kolossal: c’è Olivia Colman, una che ha interpretato la Regina Elisabetta d’Inghilterra, nei panni della madre superiora a capo dell’ospizio dove si trova Zia Lucy, e sarà un personaggio sorprendente. C’è Antonio Banderas, nei panni della guida Hunter Cabot, sorprendente anche lui. I coniugi Brown, la famiglia che ha adottato Paddington, sono Emily Mortimer e Hugh Bonneville. E, in delle piccole parti, ci sono anche Haley Atwell e Jim Broadbent. La voce italiana di Paddington è di Francesco Mandelli.
Paddington ci delizia con le sue famose gag slapstick e il film ha un ritmo veloce e piacevole. “Si può portare l’orso fuori dalla giungla, ma non si può portare la giungla fuori dall’orso” ci insegna in questo film: è un modo per dire che ognuno di noi ha le sue origini da rispettare, ma ha anche un suo luogo d’adozione, così come la famiglia originale e quella elettiva. Ma, soprattutto, ci insegna che – la storia ha a che fare con la ricerca della mitica terra dell’Eldorado, o El Dorado – il concetto di oro è molto relativo. Per ognuno di noi la cosa più brillante e preziosa è diversa.
di Maurizio Ermisino
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