Reinas, regine. È così che Carlos Molina, detto “el loco”, cioè il matto, chiame le sue due figlie, Lucía e Aurora. Reinas è il titolo del film di Klaudia Reynicke, che, dopo essere passato al Sundance Film Festival, alla Berlinale e a Locarno, è stato presentato la scorsa settimana a La Nueva Ola – Festival del Cinema Spagnolo e latinoamericano, che si è svolto a Roma. Reinas è al cinema dal 15 maggio, distribuito da Exit Media. È una storia familiare tenera, delicata, leggera e allo stesso tempo intensa e densa di contenuti, che sfiora il dramma senza mai toccarlo, e che unisce memoria e identità, Storia con la S maiuscola e storie di gente comune.
Siamo nel 1992, a Lima, Perù. Il clima nella nazione è plumbeo e opprimente. Così Lucía e Aurora, la prima ancora una bambina, la seconda adolescente, si preparano a lasciare definitivamente il loro paese insieme alla madre. Per partire, però, hanno bisogno che Carlos, il padre che ha sempre evitato le responsabilità genitoriali, firmi i loro documenti di uscita. A Carlos ha fatto comodo non fare il genitore, ma ora, se vuole conquistare l’amore delle sue figlie, deve dimostrare di meritarsi un posto nelle loro vite prima che partano.
Le storie di Aurora, Lucía, della loro madre e del padre Carlos si muovono con la Storia del Perù sullo sfondo. Nei primi anni Novanta è un paese segnato dalla crisi economica, dalla lotta contro il terrorismo e da un clima politico instabile. Quando infatti il presidente Alberto Fujimori compie un autogolpe nel 1992, sciogliendo il Parlamento e sospendendo la Costituzione, le libertà civili vengono represse e cresce il numero delle famiglie che scelgono l’esilio, inseguendo un futuro più sicuro oltreconfine. Klaudia Reynicke sceglie questo scenario per raccontare la sua storia personale: anche lei è stata una bambina che, come le protagoniste del film, ha lasciato il Perù per cercare una nuova vita altrove.
Sapere che Reinas è una storia autobiografica rende il film di Klaudia Reynicke ancora più dolce e sincero. Reinas è uno spaccato di vita familiare caldo e intenso. È una storia che vive sul contrasto tra l’affetto di un padre per le sue figlie e il pragmatismo della madre che vuole portarle all’estero per far vivere loro una vita migliore, tra l’affetto che ancora esiste, nel nome delle figlie, tra i due genitori separati, e la tensione che la separazione porta in relazione alle leggi. E anche, come detto, tra la dolcezza degli affetti familiari e la pesante situazione in cui versa il Paese.
Reinas è soprattutto un film di donne, di creature forti che, anche in mezzo al caos, trovano il coraggio di scegliere il proprio destino. Ma, come contraltare, spicca anche le figura del padre, Carlos, un personaggio tratteggiato benissimo sia in sceneggiatura che a livello di interpretazione. Per gran parte del film è un personaggio naïve, uno che racconta frottole, ma pian piano dentro senti la sua malinconia: dice di fare l’attore, poi di avere affari di commercio con l’estero, alle figlie fa credere di essere un agente segreto. Eppure, nel suo volto vedi la malinconia, la tristezza che è quella di certi clown. La tristezza di chi sta cercando di far ripartire la sua vita, ma ancora non ci riesce. Gonzalo Molina, nel ruolo di Carlos, è esemplare e delicato. Guardatelo nel sottofinale, quando deve mettere quella firma. Guardate la sua esitazione, guardate i suoi occhi.
Tra le donne del film c’è Susi Sánchez, volto noto del cinema di Pedro Almodóvar (La pelle che abito, Julieta, Dolor y Gloria), nel ruolo della nonna delle due ragazzine. Ma ci sono soprattutto loro, le due “reinas”, le due piccole regine, che sono due vere rivelazioni: Abril Gjurinovic e Luana Vega sono bravissime, credibili e ben dirette. Con un momento in cui ascoltiamo la nostra Raffaella Carrà (con la sua storica Fiesta), Reinas è una storia apparentemente semplice in cui le cose si complicano pian piano, e che man mano svela tutti i nodi che la rendono una storia speciale. Reinas è un film da vedere.
di Maurizio Ermisino
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