“La prima volta che sentii di David al tempio cercavo tra la folla il mio Golia per sfidarlo”. È con queste parole che si apre Vangelo secondo Maria, il nuovo film di Paolo Zucca con Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassmann, tratto dall’omonimo romanzo di Barbara Alberti, che arriva al cinema a partire dal 23 maggio con Vision Distribution dopo essere stato presentato Fuori Concorso al Torino Film Festival. Vangelo secondo Maria si apre con il riferimento a Davide e Golia, e la prima scena vede una giovane Maria tirare con la fionda. La Maria immaginata da Barbara Alberti e Paolo Zucca è una ragazza ribelle, selvatica, in continuo movimento. Una giovane affamata di vita e di conoscenza, lontana dall’immagine iconica e fissata nell’immaginario che ne ha fatto la Chiesa. Vangelo secondo Maria vuole provare a farci conoscere la Maria di cui non abbiamo mai letto, la giovane donna che c’è dietro l’immagine sacra. E ci riesce. Per questo Vangelo secondo Maria, girato e recitato magnificamente, è un film speciale. È una storia di 2mila anni fa che ci dice anche tanto sulla donna oggi.
Maria (Benedetta Porcaroli) è una ragazzina di Nazareth. Come donna tutto le è proibito, anche imparare a leggere e scrivere. Ma lei sogna libertà e sapienza. Alla sinagoga si entusiasma per le storie della Bibbia, come don Chisciotte coi romanzi d’avventura. Dall’audacia dei profeti ha imparato la disobbedienza, sogna di scappare su un asino e scoprire il mondo, andare lontano. Trova in Giuseppe (Alessandro Gassmann) un maestro e un complice. Il loro matrimonio è casto, un paravento, mentre lui segretamente la istruisce, preparandola alla fuga. Ma ecco un ostacolo imprevisto: Maria e Giuseppe si innamorano. Stanno per abbandonarsi alla passione, quando l’angelo dell’annunciazione rovina tutto. Il piano di Dio e quello di Maria non coincidono affatto.
Il pregio che hanno Barbara Alberti e Paolo Zucca è quello di prendere Maria e Giuseppe e toglierli definitivamente dal presepio, dall’iconografia, dalle immagini sacre. Di provare a entrare in loro, scavare in quei personaggi e provare a capire che cosa potesse pensare e sognare una giovanissima donna nella Palestina di duemila anni fa. E anche un uomo maturo e solido che decide di prenderla sotto la sua ala protettrice e di accettarla per com’è. E accettare anche la sua improvvisa maternità. Si dice spesso che dai sei anni ai trentatré di Gesù Cristo sappiamo poco o nulla dai Vangeli. Se ci pensate sappiamo pochissimo anche della vita della Madonna, e in fondo di quella di Giuseppe. Anche le sacre scritture, dati i tempi, sono state maschiliste: in Maria vedevano un mezzo, una via per fare nascere il Figlio di Dio. Barbara Alberti, giù nel 1979, con il suo romanzo “femminista”, provava a finalmente a fare di lei una donna, a darne un ritratto inedito, per nulla scontato, moderno e attualissimo, una cosa incredibile se pensiamo che è stato scritto più di 40 anni fa.
E Vangelo secondo Maria, un progetto partito qualcosa come 15 anni fa, per una serie di eventi arriva al cinema oggi, in pieno dibattito sulla condizione femminile, dopo che Barbie prima e Paola Cortellesi con C’è ancora domani poi hanno portato il tema all’attenzione di tutti. La storia di Vangelo secondo Maria è potente, è urgente. È quella di una giovane donna il cui unico futuro proposto è un matrimonio, ovviamente combinato. E nessuna possibilità di studiare, apprendere, imparare, muoversi, viaggiare, scoprire. La chiave del film è questa. Maria subisce anche la violenza dal proprio padre. E c’era una scena molto dura in questo senso nel film, che però è stata tagliata. L’impressione non doveva essere che Maria volesse scappare per fuggire alle violenze della sua famiglia. Ma che volesse andare via per conoscere. “La conoscenza non è peccato” dice a un certo punto. E il pensiero va alle donne che, in molte parti del mondo, in parte anche nel nostro Paese, vedono negato il diritto all’istruzione, all’emancipazione, alla realizzazione personale.
La Maria di Barbara Alberti e Paolo Zucca è questa. Un’eroina di duemila anni fa e contemporaneamente una ragazza di oggi. Benedetta Porcaroli, qui alla sua miglior interpretazione in carriera, è eccezionale proprio per questo: è assolutamente credibile sia come una giovane donna nella Palestina dei tempi di Cristo sia come una donna di oggi, con i suoi desideri, le sue ispirazioni, la sua identità. La sua metamorfosi, da ragazza selvaggia e ferina con i colori della terra e il volto sporco, a donna illuminata di azzurro verso la consapevolezza e la santità, è uno dei grandi lavori che ha fatto il regista. Insieme a quello fatto su Alessandro Gassmann, spogliato di ogni movimento, ogni vezzo da commedia, ogni aspetto della sua innata simpatia per fare un uomo d’altri tempo, solido, roccioso, rassicurante.
Quello che ci piace di questo film è che dà vita a un rapporto uomo donna inedito, ma visto. Le altre storie di redenzione femminile sono in qualche modo storie d’amore, puntano sul rapporto con il partner o con i genitori. Questo è un rapporto basato sulla cultura, sull’apprendimento. Una giovane donna che chiama un uomo Maestro (e, in alcuni punti, con curiosi anacronismi, sembra quasi quello tra il Daniel San e il Maestro Miyagi di Karate Kid o quello tra Maestro Jedi e Padawan di Star Wars). Una donna che se costruisce il rapporto con un uomo sulla castità e il rispetto reciproco sa che potrà fidarsi.
Paolo Zucca ricrea la Palestina nella sua Sardegna, che conosce come pochi altri. Era stata Barbara Alberti a proporgli di fare un film dal suo libro dopo aver visto il suo corto, L’arbitro, perché in quelle immagini aveva rivisto la Palestina che aveva immaginato nel romanzo. E così Zucca gira un film materico, dove sembra di toccare con mano la terra e le pietre di quei luoghi. Il suo è un cinema che guarda a Pasolini. E che, in una messinscena sobria e funzionale alla storia, riesce a creare sequenze memorabili. Come quella in cui assistiamo al passaggio dello Spirito Santo, che darà la maternità a Maria, in cui un’ombra arriva sulla scena e tutto si ferma, con uomini a animali fissati in un attimo di immobilità. O come quella in cui la Madonna ha un incubo, e si immagina come simulacro, una futura statua di pietra. L’immagine in cui verrà fissata in eterno e che, ora, non vuole essere. Per questo la nostra Maria, ha anche qualcosa da dire a Dio, che per lei ha dei piani diversi. Alla fine della storia, Maria acquisirà consapevolezza di sé, amore e libertà. È in quel senso che il viaggio con Giuseppe su un asino, un bellissimo finale aperto, va visto. “Chi è colei che sale dal deserto accanto al suo diletto? Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio. Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi possono travolgerlo. Perché forte come la morte è l’amore”.
di Maurizio Ermisino
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