Amy Winehouse sul suo corpo aveva scritto la sua vita. Come i protagonisti di Educazione siberiana, la pelle della cantante soul inglese portava i segni della sua storia. Ogni tatuaggio era stato fatto in un momento, ogni scritta aveva in sé un significato, un nome, un’immagine. Sulla pelle di Amy Winehouse c’era il nome di Blake, l’amore della sua vita e la sua rovina, posto sopra al seno, scritto sopra al disegno di un taschino. “Così ti porto sempre in tasca” diceva lei. Su un braccio c’era la scritta Dad, dedicata al padre, l’altro uomo della sua vita, che purtroppo non è riuscito a salvarla. Su una spalla, ecco il ritratto di una ragazza degli anni Cinquanta, cioè il suo autoritratto. E, vicino all’ombelico, ecco un tatuaggio fatto in occasione del suo matrimonio. La storia di Amy Winehouse era tutta nella sua pelle e nelle sue canzoni. Ora prova a raccontarla Back To Black, il nuovo film diretto da Sam Taylor-Johnson, con Marisa Abela nei panni della cantante, in uscita al cinema il 18 aprile. Un film che scivola leggero su un periodo della vita della cantante, dall’inizio della sua carriera alla conquista dei Grammy Award per Back To Black, senza riuscire però a raccontare appieno l’anima di quest’artista, restando solo in superficie.
Il trucco pesante, con l’eyeliner ad allungare gli occhi. Quei capelli come si portavano negli anni Sessanta, vaporosi e raccolti alti sul capo. Il piercing sopra le labbra, a un angolo della bocca. Quegli abiti sixties, camicette scollate e a maniche corte, annodate in vita, i sabot open toe. Il look di Amy Winehouse, rétro e ricercato, era unico e inconfondibile. Ed è su questo che, prima di tutto, punta il film e punta Marisa Abela nell’immedesimarsi nel personaggio. La somiglianza dell’attrice all’artista, a prima vista, sembra funzionare, ma poi ti rendi conto che manca qualcosa. E che la sua interpretazione forse è più imitazione che altro.
Back To Black racconta la storia – che abbiamo visto tante volte e che purtroppo continuiamo a vedere – di un amore distruttivo, di un maschilismo tossico ed egoista, violento e noncurante. Assistiamo alla sua vita e capiamo in che modo sia collegata alle canzoni di Amy Winehouse. Ma non ci sembra di riuscire a conoscerla davvero. Ma il punto è proprio questo: chi davvero può dire di aver conosciuto Amy? Da quando è salita al successo, Amy Winehouse ci è sempre stata raccontata dal gossip, dalla stampa scandalistica: le sue sfuriate, la sua dipendenza dall’alcol e dalle droghe, la sua relazione malata, di fatto un’altra dipendenza, dal suo compagno, e poi marito, Blake Fielder-Civil. Ci si è accontentati di fare questo, ci si è abbeverati alla fonte degli scandali. In pochi, anche la stampa specializzata, ha parlato della sua musica. E il film, che vuole denunciare questo, finisce per finire proprio dentro questo meccanismo. E così ancora una volta Amy viene raccontata attraverso gli scandali.
No, noi Amy Winehouse non l’abbiamo mai conosciuta davvero. Rehab ci sembrava una canzone piacevole da ballare, ma non ci siamo soffermati a capire che cosa c’era dietro, la sua dipendenza da alcol e sostanze stupefacenti. Back To Black è una canzone stupenda, l’abbiamo ascoltata tante volte, senza mai capire davvero il dolore che aveva fatto nascere la canzone, la separazione con Blake. Back To Black significa “ritorno all’oscurità”. Ascoltate come appoggia quella parola, “black”, dopo quelle due battute di batteria che fermano tutto. E poi ancora per l’ultima volta, alla fine della canzone. Quando la parola “oscurità” esce dalla sua bocca capisci quanto buio abbia avuto dentro.
Back To Black, la canzone, nel film arriva e diventa una lunga ellissi narrativa, che va dalla fine (la prima fine) della storia con il suo amore, Blake, alla realizzazione del suo album, che prende proprio il titolo della canzone. Ne abbiamo viste di ellissi narrative nei film musicali: le canzoni sembrano fatte apposta per passare da un momento all’altro della vita, per racchiudere un periodo e raccontarlo in pochi minuti. Back To Black, il film, sembra però essere una continua ellissi narrativa. E allora ti dispiace che certi momenti vadano avanti veloce, come se spingessimo il tasto fast forward di un lettore dvd. È un peccato che la fase artistica, la lavorazione del disco, la nascita delle canzoni venga sacrificata.
Marisa Abela ce la mette tutta: la grinta, l’immagine, e soprattutto la voce. È lei a cantare le canzoni. Eppure manca qualcosa per essere una Amy credibile. Accanto a lei ci sono Eddie Marsan, bravissimo, nel ruolo del padre e Jack O’Connell nel ruolo del marito Blake. Accanto alle canzoni di Amy Winehouse c’è anche una grande colonna sonora originale, scritta da due grandi artisti come Nick Cave e Warren Ellis. La bellissima Song For Amy, canzone originale scritta ed eseguita dai due appositamente per il film, chiude la storia, sui titoli di coda.
Prima dei titoli di coda Back To Black fa una scelta dolceamara. La storia si ferma molto prima della scomparsa dell’artista, e chiude in crescendo, in gloria, come faceva Bohemian Rhapsody con l’esibizione dei Queen al Live Aid, e con la conquista dei famosi 5 Grammy Award. Poco dopo, però, vediamo Amy nella sua nuova casa, colorata d’oro e di rosa, ma in cui si trova sola. E continua a toccare quel nome scritto sulla sua pelle, Blake. E capiamo, come canta in Love Is A Losing Game, che cosa è stato per lei l’amore. “L’amore è un gioco in cui si perde. Qualcosa a cui non vorrei mai aver giocato”.
di Maurizio Ermisino
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