Wanted Cinema è lieta di annunciare l’uscita nelle sale italiane della commedia canadese LA NATURA DELL’AMORE diretta da Monia Chokri, già attrice musa di Xavier Dolan, qui al suo terzo film da regista dopo A Brother’s love (Un Certain Regard Coup de Cœur a Cannes 2019) e Babysitter (Official Selection Sundance Film Festival 2022). L’amore è l’assoluto protagonista della raffinata e divertente pellicola che arriva al cinema dal 14 febbraio, in occasione di San Valentino.
Presentato all’ultimo Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, LA NATURA DELL’AMORE vede protagonista Sophia (Magalie Lépine-Blondeau), 40 anni, docente di filosofia all’Università di Montreal, dove da dieci anni vive una consolidata e monotona relazione con Xavier (Francis-William Rhéaume), anche lui docente. Alla base della loro relazione ci sono l’agio, la stabilità, l’intesa intellettuale, ma una passione ormai assopita. La vita di Sophia cambia all’improvviso quando incontra Sylvain (Pierre-Yves Cardinal), il falegname tuttofare incaricato di ristrutturare la casa di campagna, un ragazzo “semplice” come suggerisce il titolo originale del film. Infatti i due non potrebbero essere più diversi: lei proviene da una famiglia colta e benestante, Sylvain da una rumorosa tribù di amici e parenti proletari. La differenza tra classi sociali – sottolineata con ironia dalla Chokri – non impedisce un vertiginoso colpo di fulmine che cattura i due in una travolgente passione di corpi e di anime.
Lo sguardo della regista canadese è concentrato su Sophia, che mette in discussione i suoi valori, che esplora una nuova forma di amore, intrisa di desidero erotico e romanticismo, ma filtrandolo con la sua formazione accademica attraverso le massime di filosofi che hanno indagato il sentimento amoroso. Le profonde diversità di retroterra culturali e familiari dei due amanti creano i presupposti per numerose scene esilaranti in cui ciascuno dei due si cala nel mondo dell’altro con comico spaesamento.
Pur nella leggerezza di tono, la riflessione che LA NATURA DELL’AMORE offre allo spettatore è profonda. “Penso che due individui possano amarsi a prescindere dalle loro differenze” dichiara la Chokri “È sicuramente una grande sfida. Serve determinazione. La scelta di amare, come direbbe Bell Hooks (Tutto sull’amore, tra i testi di riferimento della regista ndr), è una scelta di connessione, di trovare sé stessi nell’altro”.
Monia Chokri ha costruito attorno ai due attori un film personale, che cita la fotografia del cinema di Robert Altman e Francois Truffaut, su una colonna sonora di sapore vintage (da Michel Sardou agli Europe).
Intervista a Monia Chokri
REGISTA E INTERPRETE DEL FILM
Ne La natura dell’amore hai scelto di rappresentare l’amore romantico come una realtà sociale.
Cosa ti ha portato ad esplorare il romanticismo da questa particolare angolazione?
È stata una scelta ovvia. Gli incontri romantici tendono ad essere idealizzati nei film. Gli ambienti sociali raramente sono presi in considerazione allo stesso modo. I background socio-culturali hanno un ruolo preponderante nell’evoluzione delle coppie. Io stessa ho sperimentato diverse tipologie di relazioni, che mi hanno fatto accorgere di vari fattori, al di là dei soggetti in sé, che possono avere effetti sulla coppia. Ad un certo punto, ciò che ci circonda prevale sulla relazione stessa. I tuoi amici, la tua famiglia, il lavoro, il vicinato – tutto inizia ad avere un peso su di essa.
Queste considerazioni ti hanno ispirato a realizzare il film?
Ero interessata più di ogni altra cosa a girare una storia d’amore. C’è un tema piuttosto ossessivo nel mio lavoro fino ad ora: il viaggio impossibile verso l’amore, gli ostacoli. In A Brother’s Love (in francese La Femme de mon frère) si trattava di un rapporto fratello-sorella, ma il soggetto era già presente.
Volevo portarlo più lontano – è incredibilmente vasto – ma volevo anche catturare un incontro tra due mondi diversi. Cosa succede quando due persone con background molto diversi provano un coinvolgimento sentimentalmente?
Com’è stato il processo di scrittura?
§Ha iniziato a prendere forma nella mia mente quasi cinque anni fa. All’epoca stavo finendo il mio lungometraggio d’esordio, A Brother’s Love, e svolgevo occasionali lavori di recitazione.
Dopo aver lavorato a Babysitter, mi sono presa un po’ di tempo libero. Ho iniziato a scrivere la sceneggiatura vera e propria circa due anni e mezzo fa. Con The Nature of Love il tempo è stato decisamente dalla mia parte.
L’eroina del film, Sophia, esplora l’amore e il desiderio sia con la pratica – con il suo amante, Sylvain – sia con la teoria, come insegnante di filosofia. Le sue idee sull’amore romantico sono state plasmate dal suo interesse nei confronti dei testi di Platone, Spinoza, Jankelevitch, Bell Hooks?
L’idea era quella di mostrare come i filosofi avessero pensato a ideali come quello dell’amore durante le varie epoche. Con mia sorpresa, ho scoperto che era stato fatto davvero poco sull’argomento in filosofia. È sempre stato un argomento disprezzato, forse percepito come futile o non degno di ricerca filosofica. Ho letto tonnellate di libri, tutti quelli che mi capitavano per le mani! Mi hanno aiutata ad entrare nel percorso di Sophia. Bell Hooks è arrivata molto dopo. La fase di montaggio era già in corso ma ho pensato potesse essere interessante aggiungere i suoi pensieri con un voiceover, come per dare voce nuova a pensieri che fino ad allora avevo sentito pronunciare solo da uomini. Certamente, tra gli autori considerati c’è anche Hanna Arendt, la quale però approccia l’argomento da una prospettiva in qualche modo metafisica: parla di amore come Sant’Agostino, quindi le sue idee possono essere criptiche.
Ciò mi ha fatto pensare: siamo condizionati perché abbiamo sentito sempre parlare gli uomini di amore – anche le nostre idee al riguardo sono forgiate dalle loro immagini. Quando ho letto All about love di Bell Hooks (pubblicato in Italia da Il Saggiatore con il titolo Tutto sull’amore) l’ho trovato incredibilmente significativo e profondo. Si tratta davvero di un libro che ci insegna ad amare meglio. Hooks dice che l’amore è un verbo e, come tale, possiamo attivamente scegliere, possiamo decidere di amare. Ciò significa che la nostra felicità non dipende dal nostro partner. Quelle parole mi hanno cambiato la vita. Ognuno di noi, come individuo, è responsabile dei propri personali sentimenti.
Nonostante tu prenda l’amore molto seriamente nel tuo film, allo stesso tempo ci sono momenti comici molto genuini. Ci parleresti del tono che hai deciso di utilizzare?
Viviamo in un’era marchiata dal cinismo e questo si riflette nel cinema. Per me, si tratta di una posizione comoda per gli artisti, che non hanno un ingaggio emotivo con le loro battute. Ciò dà loro una certa distanza. Sarebbe molto più difficile esprimere se stessi, ed esporre i propri sentimenti. Improvvisamente, ho realizzato quanto fosse interessante tutto ciò. Forse, sarà che sto invecchiando, sarà che ho superato diverse sfide sentimentali, alcune di queste esperienze mi hanno portato a conoscermi meglio e ad assumere un atteggiamento più dolce. Le esperienze che ho avuto negli ultimi tre anni mi hanno portata a perdere questo cinismo. Ce n’era molto di più in A Brother’s Love. Non è che non lo approvi proprio: è normale per i più giovani restare più ironici e conflittuali. Anche io avevo un approccio decisamente più slapstick a quel tempo. Alcune persone che avevano letto la sceneggiatura di La natura dell’amore, mi hanno detto di aver riso molto. Ma tutto cambia quando effettivamente guardi il film. Ci sono momenti divertenti, ma credo fosse più importante adottare uno sguardo umano sulle differenze sociali e sui temi ad esse connessi. Questo genere di argomenti può essere scivoloso. Non voglio giudicare. Se avessi calcato più la mano sugli aspetti comici, i personaggi non sarebbero stati così accattivanti. Specialmente Sophia. Sarebbe risultata troppo cinica. Ho deciso di calcare sull’empatia invece di far solo ridere.
È stata una scelta volontaria, di cui sono molto fiera.
Hai scelto infatti di non fare caricature dei diversi background di Sophia e Sylvain.
Esagerare sarebbe stato grottesco. Avrebbe minato l’incontro romantico. Nessuno avrebbe mai creduto che uno zoticone si infatuasse di una donna così intellettuale. Non si sarebbe mai interessato a lei. Dovevano esistere zone di convergenza, un qualche punto in comune. È estremamente commovente per me, sentire un personaggio dire “Mi interessi, quindi leggo Guillaume Apollinaire” e l’altro risponde “Mi piaci, quindi leggo un libro sulla caccia”.
Sophia ha 40 anni e insegna a persone più grandi di lei. Il tema dell’età è presente in tutto il film. Ha qualcosa a che fare con il tuo rapporto con il tempo?
Il tempo è sempre un tema importante quando ti innamori. Ci sono numerosi riferimenti nel film risalenti alla mia infanzia e adolescenza, che ovviamente sono visibili solo a me. Nella seconda scena, vediamo Sophia fare benzina mentre fissa una coppia di adolescenti baciarsi come solo i più giovani fanno.
La nostalgia della protagonista è palpabile. È certamente possibile provare la stessa passione anche più in là con gli anni, ma è sempre più raro. Quando ci innamoriamo fortemente di qualcuno, riviviamo un po’ i nostri anni da adolescenti. L’incontro di Sophia e Sylvain fa esplodere in lei qualcosa di molto simile, qualche sprazzo di giovinezza prima di addentrarsi in una vita definitivamente adulta. Inoltre, anche se non è precisamente esplicito nel film, è presente anche il tema della maternità. Sophia stessa affronta il discorso due volte: la prima volta in macchina quando dice “Avere figli di questi tempi e a quest’età, che incubo!” e di nuovo, quando dice a Sylvain “Non ho mai voluto figli, ma con te potrei volerne”.
Sophia è circondata da figure materne. Il suo personaggio è una riflessione sulla maternità oggi?
Sophia si chiede, come fanno tutti, se dovrebbe avere figli o no. Io non ho figli perché, da un lato, ero titubante e, dall’altro, la realtà sociale ed economica di avere figli equivale ancora, per le donne, a una forma di schiavitù. Alle donne viene costantemente chiesto se desiderano avere figli. Ho avuto una relazione con un ragazzo per dieci anni e nessuno lo ha mai chiesto a lui! Gli uomini devono comprendere il vincolo che rappresenta per noi. E l’unico modo per farlo è che le donne scrivano le proprie storie e abbiano il diritto di raccontarle e condividerle.
Il fatto che Sophia metta in discussione l’idea di maternità non è anche questo un problema di classe? Non sarebbe stata un’altra storia se fosse stata della stessa classe di Sylvain?
Non ci avevo pensato direttamente. Ma è vero che decidere se avere figli o no è un lusso delle classi privilegiate. Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti. Chi soffrirà di più a causa dei divieti di aborto [nel 2022, la Corte Suprema ha revocato la sentenza Roe VS Wade del 1973, concedendo che la legislazione sull’aborto fosse rinviata a livello statale, ndr]? Persone provenienti dalle classi più povere, le comunità afroamericane. La questione della maternità è sicuramente una questione da persone ricche.
Allo stesso tempo, è una questione decisiva della nostra epoca. Lo vediamo nei tassi di crescita in calo in Occidente, negli ambienti atei e meno religiosi. Naturalmente sto anche ritraendo un mondo che conosco, di cui faccio parte.
Uno dei partner del fratello di Sophia sceglie il pronome “loro”. Cosa dice questo sui giovani di oggi?
Non sono sicura di cosa dica sui giovani, ma personalmente penso che i giovani siano intelligenti e forti, curiosi e tolleranti. Secondo uno studio che ho letto, in Francia circa il 20% dei giovani tra i 18 e i 30 anni si identifica come neutrale rispetto al genere. Le persone della mia età che dicono di non capire cosa sta succedendo sono completamente fuori dal mondo secondo me. Sono dinosauri…
Ciò che è così straordinario negli esseri umani è la nostra capacità di evolvere, di alterare i nostri atteggiamenti e valori morali. Le giovani generazioni stanno sfidando le nozioni di genere, non per contestare l’idea di genere biologico, ma piuttosto per condannare i sistemi di dominio. Chiedono un mondo più umano, un mondo in cui tutti siano trattati con rispetto. Si rifiutano di accettare cosa significhi essere un “ragazzo” (forte ed emotivamente impassibile) o una “ragazza” (gentile, educata e materna). Il fatto che nel film ci sia un personaggio che si identifica con il pronome “loro” è semplicemente un riflesso del mondo in cui viviamo, che ci piaccia o no.
Nella prima scena del film, Sophia parla dell’idea di distruggere il passato per ricominciare da capo. Come immagina il suo futuro?
Nel subconscio sta cercando di sfuggire alle convenzioni che hanno plasmato la sua identità. Xavier le chiede “sei infelice con me?” e lei risponde “no, sto bene, comunque non sono infelice”. Avrebbe potuto non fare nulla per altri 10, 15 o 20 anni… Ma sa che quel modello non è adatto a lei, e che se deciderà di esplorare l’ignoto, magari senza scopo, almeno avrà sperimentato qualcosa di vero.
Sophia sembra non avere molte remore nel cedere al suo desiderio per Sylvain. Non ha litigato con il compagno. Stavi cercando di ribaltare le idee preconcette sull’adulterio?
All’inizio, dice a se stessa che è solo l’avventura di una notte. Ha bevuto qualche drink, è abbastanza sexy, non significherà nulla. La metà delle persone che conosco che vivono in una relazione, hanno avuto almeno un’avventura così. Per citare Sophia: “Non conosco nessuna coppia fedele”. Succede continuamente, ma non ne parliamo mai. L’argomento è tabù. La parola “fedeltà” è ancora una norma giudaico-cristiana. Un fardello pesante. Penso che dovremmo invece parlare di “lealtà”. Mia madre diceva che per lei tradire non significava fare sesso con qualcuno, ma avviene quando inizi a sentirti vicino alla persona in questione. Mi sembrava una valutazione giusta… Ma dopo una certa età, il sesso e l’intimità sono intrinsecamente legati.
Sophia dice che stare con Sylvain in qualche modo l’ha connessa a ciò che conta di più nella vita. Questa idea di autenticità e semplicità ti sembra particolarmente contemporanea?
Per me – e ho più volte provato a uscire dai social – è la fantasia più grande: incontrare un ragazzo di 35 anni, che vive da solo in mezzo al nulla, che non usa i social, che coltiva la propria verdura.
È qualcosa che ho scoperto con l’età. Prima odiavo la campagna.
Hai scelto Pierre-Yves Cardinal per il ruolo di Sylvain. In Francia, è noto per il suo ruolo in Tom at the Farm di Xavier Dolan. Rappresenta un particolare tipo di mascolinità?
Virilità e sensibilità sono meno in contrasto in Quebec che in molte altre parti del mondo. Mi interessava ritrarre un ragazzo di origine rurale, che lavora con le mani, come un essere estremamente sensibile. Questo è molto importante. Sentiamo così tante storie di romanticismo tossico. Solal, nel romanzo Bella del signore di Albert Cohen, è il personaggio più ripugnante che si possa immaginare, eppure ha ispirato generazioni di uomini e donne che lo vedevano come una figura romantica. Il fatto è che la relazione era tossica e Solal era un narcisista manipolatore. Filmare una relazione dal punto di vista di una donna, che non avesse nulla di quella tossicità, era ciò che contava per me.
Il film offre uno sguardo intellettuale all’amore romantico, ma è anche altamente sensuale. Come ha approcciato le scene di sesso?
È stata una vera sfida! Ci sono così tante scene di sesso nel cinema… Non mi interessano mai veramente. Si tratta sempre di semplici rappresentazioni grafiche. Per me, le scene di sesso sono buone solo se fanno avanzare la narrazione. Sentiamo parlare di sguardo femminile, ma non è così semplice. La prospettiva di ognuno è modellata dallo sguardo maschile, da ciò che gli uomini considerano erotico e sensuale. Il messaggio – che il corpo di una donna è sensuale e che il corpo di un uomo non è sexy – è ovunque. Come donne, siamo soggette all’ingiunzione di esporre i nostri corpi. La sfida per me era come non mostrare il corpo dell’attrice. Volevo mostrare la scena dal suo punto di vista. Quindi, le inquadrature del corpo di Sylvain sono estremamente strette. Anche la scena del cunnilingus è dal punto di vista femminile. È il mio modo di dire alle donne: “siete libere di esprimere la vostra sessualità, di dire quello che volete”. Quindi ho trattato le scene di sesso come scene di dialogo. Per aiutare la storia a svilupparsi.
Come ha diretto Magalie Lépine Blondeau?
Magalie è la mia migliore amica nella vita reale. È anche la prima persona che legge tutte le mie sceneggiature. L’avevo già diretta in A Brother’s Love. Tendo ad essere un po’ insistente. Dico agli attori che cerco un certo tono. Facciamo molte prove durante le riprese. Ma lavorare con Magalie è facile. Abbiamo la stessa sensibilità. Volevo concederle un certo grado di libertà. In Quebec è un’attrice molto famosa. Ha dato grandi prove di bravura nel cinema, nella televisione e in teatro. Ha un talento eccezionale e si è fidata di me. Credeva sinceramente nel progetto, nel suo ruolo e nella storia.
Invece non avevi mai lavorato prima con André Turpin, il direttore della fotografia noto soprattutto per il suo lavoro con Xavier Dolan…
Anche André è un amico. Ero nel suo film Endorphine (2015). La nostra collaborazione è stata insolita. Aveva pochissimo tempo libero durante la fase di preparazione, quindi ho dovuto fare da sola il piano di produzione delle riprese. All’inizio era un po’ scoraggiante. Ma dopo, l’ho adorato. Potevo contare solo su me stessa. All’inizio ero nel panico, ma poi mi ha insegnato a lavorare da sola. Ho pensato molto a Robert Altman durante le riprese. Lo zoom avanti e indietro, i teleobiettivi…
C’è un che di sensuale nel film – la grana delle immagini, gli zoom frequenti – molto anni Settanta. Volevi andare in questa direzione?
Il film esplora questioni di amore romantico ma anche di riproduzione, volevo avesse l’aria di un documentario di animali. Ho usato lenti focali per restituire la sensazione di essere in un safari. Ma è stata anche una questione di gusti: mi piace utilizzare i close up. Ho già sperimentato in questo senso con A Brother’s Love. I drama americani degli anni Settanta e Ottanta sono stati sicuramente una fonte di ispirazione, film come Kramer vs Kramer, Love Story…
Le scene delle cene sono estremamente caotiche. Tutti parlano con tutti. Cosa ci dice questo aspetto di come comunicano i personaggi?
Lo faccio sempre. I dialoghi che si sovrappongono erano scritti nella sceneggiatura così che tutti gli attori potessero provarli. Gli attori dovevano essere bravi a fare loro quei dialoghi per far venire bene le scene. Dovevano essere capaci di ascoltarsi l’un l’altro e, allo stesso tempo, di concentrarsi sui propri tempi. È come andare a tempo con la musica. Le coppie spesso si parlano sopra: sono capaci di ascoltare ciò che il partner dice continuando ad esprimere il loro flusso di coscienza.
Il grande interrogativo del film è se l’amore romantico sia possibile tra due persone veramente diverse tra loro. Hai trovato una risposta?
Penso che due individui possano amarsi a prescindere dalle varie differenze. È sicuramente una grande sfida. Serve determinazione. La scelta di amare, come direbbe Bell Hooks, “è una scelta di connessione, di trovare se stessi nell’altro”.
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