“I cani hanno tutti pregi degli umani, ma nessun loro vizio. Hanno un solo difetto… si fidano degli umani”. Esterno, notte. La polizia ferma un camion: alla guida c’è una donna, o almeno così sembra. È ferita, sconvolta. I poliziotti chiedono di aprire il bagagliaio del camion. Ci trovano una ventina di cani, forse di più. Gli animali restano immobili. “Non vi faranno niente, se non farete niente a me…” Inizia così Dogman, il nuovo film di Luc Besson, presentato in concorso al Festival di Venezia e in uscita al cinema il 12 ottobre, distribuito da Lucky Red. Andare a vedere questo film, al cinema, è un’esperienza che non avrete mai fatto. Non possiamo essere sicuri che vi piaccia. Ma siamo sicuri che è un film che non avrete mai visto prima. Dogman mescola thriller psicologico, favola, musical, cinema queer, gangster movie, romanzo di formazione. E anche quel vecchio cinema con gli animali addestrati che si faceva una volta. Tutto questo è impossibile da raccontare. Si tratta di vederlo. Tutto questo, signore e signori, è Luc Besson.
Doug, cresciuto insieme ai cani
Dogman inizia così. Dopo che il camion è stato fermato, quella donna, vestita come Marilyn Monroe, viene fermata dalla polizia e portata in stazione, dove viene fermata. Una psicologa viene chiamata nel cuore della notte per incontrarla e provare a tracciare un suo profilo. In realtà è un uomo. Doug (Caleb Landry Jones), inizia a raccontare la sua storia. E con dei lunghi flashback veniamo trasportati nella sua infanzia difficile. Vessato, maltrattato dal patrigno, fanatico religioso, come il fratello, con un pretesto il piccolo Doug (Lincoln Powell, da bambino) viene buttato fuori di casa e costretto a vivere insieme ai cani, in gabbia. Troverà il modo di liberarsi, anche se, ferito, è costretto su una sedia a rotelle. Ma la sua unione con quei cani, e con altri cani, non finirà mai.
Dogman, un supereroe: l’uomo che sussurrava ai cani
Doug è una sorta di supereroe: non a caso il suo nome, Dogman, sembra suggerire proprio questo. Fa molta difficoltà a muoversi, ma fa muovere i suoi cani benissimo. È come se riuscisse a sentirli, e loro a sentire lui: riesce a comunicare con loro senza impartire ordini, solo con poche parole. È come se, essendo cresciuti con lui, riuscissero a capire immediatamente che cosa dice, che cosa vuole. In fondo, Doug è un cucciolo di cane, come Mowgli con gli animali de Il libro della giungla. Doug è l’uomo che sussurrava ai cani, l’uomo che li capisce e che li sa capire, che li guida e che ne è guidato. E che, è chiaro, ama più loro che gli esseri umani.
Gangster movie e poi musical
Da questo spunto, davvero originale, prende anima un film che non è mai stato fatto prima. Besson, che gira in America (la storia è ambientata nel New Jersey), da straniero coglie stereotipi e contraddizioni degli States fissandoli meglio degli americani stessi. Tutta la prima parte, ma in fondo tutto il film, riprende stilemi e immagini tipiche dei film americani, di certi polizieschi che abbiamo visto tante volte. La storia, mentre segue l’infanzia difficile, quasi un romanzo dickensiano, di Doug, dall’altro lato si trasforma in un gangster movie, un heist movie, per una storia di rapine e vendette mafiose. E da un altro lato ancora diventa un musical, mentre racconta la trasformazione di Doug in drag queen per esibirsi in un club. “Se hai recitato Shakespeare puoi recitare qualunque cosa”, dice. Lo aveva fatto da bambino. E così Doug si trasforma in Edith Piaf, Marlene Dietrich, Marilyn Monroe. E c’è chi si trasforma in Annie Lennox degli Eurythmics. Così ascoltiamo La Foule, Lilì Marlene, I Wanna Be Loved By You e Sweet Dreams (Are Made Of This). E Non, je ne regrette rien nello spettacolare finale.
Caleb Landy Jones, una sorpresa
Caleb Landry Jones è una vera sorpresa. Sostiene tutto il film con il suo volto, spesso in primo piano. Un volo mobilissimo, empatico, struggente. Ci fa arrivare tutto il dolore della sua vita, ma anche il disincanto di chi non spera e non crede più in niente. Se non nei suoi cani. A volte, insieme a loro, ruba, ma non per diventare ricco, quanto per colmare le ingiustizie, ridistribuire le ricchezze, prendere ai ricchi per dare ai poveri come un moderno Robin Hood. E anche le sue azioni più violente non sono mai animate da una vendetta rancorosa, quanto da un senso di giustizia, di pietas verso gli ultimi. Luc Besson, cinofilo come lui, lo ha scelto proprio per il suo amore per i cani. E insieme hanno costruito il personaggio di Doug, lavorando per un anno prima dell’inizio delle riprese.
65 cani sul set
E poi ci sono loro, i cani. Veri e propri coprotagonisti del film: la produzione ne ha usati 65. Tutti grandi attori, capaci di grandi scene d’azione: aggressioni, rapine, acrobazie, salti. Ma anche di essere estremamente espressivi con primi piani eccezionali. In quelle rassegne in cui si premia il cast, un riconoscimento dovrebbero davvero vincerlo loro. Chi ama i cani troverà questo film irresistibile. Chi ne ha uno avrà voglia di tornare a casa e fare le coccole al suo. Chi non ne ha probabilmente vorrà adottarne uno. Come scriveva Lamartine, “ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane”.
di Maurizio Ermisino