Al Lido il regista americano ha presentato fuori concorso il suo cinquantesimo film, una storia in cui il caso torna ad avere un ruolo cruciale.
Tornare a girare a New York? Perché no. “Ho una bellissima idea su New York, quindi se qualcuno uscirà dall’ombra e vorrà finanziare il film stando alle mie regole, ovvero senza leggere la sceneggiatura o sapere chi è nel cast, dandomi solo i soldi e andando via, allora lo farò”. Ne è convinto Woody Allen, ottantasette anni di cui almeno cinquanta passati dietro la macchina da presa, che alla 80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematorgrafica di Venezia accompagna fuori concorso il suo cinquantesimo film, Coup de chance, ambientato a Parigi e girato in francese. Una storia in cui la fortuna e il caso, come succedeva già in Match point, tornano a giocare un ruolo cruciale: Fanny (Lou de Laâge) e Jean (Melvil Poupaud) sembrano la coppia ideale, sono entrambi realizzati professionalmente, vivono in un quartiere esclusivo di Parigi, ma quando Fanny si imbatte accidentalmente in Alain, un ex compagno di liceo, perde la testa.
Il film è il primo di Allen girato interamente in una lingua che non sia l’inglese. Perché il francese? “Quando ero giovane e ho cominciato a fare il regista, i film che mi hanno piu impressionato erano europei, tutti noi volevamo fare film come gli europei, è da tutta una vita che cerco di girare film come un europeo. Inzialmente volevo raccontare la storia di due americani che vivono a Parigi, ma poi mi sono detto che era il mio cinquantesimo film, adoro la Francia e avrei potuto giarare interamente in francese anche se non lo parlo. Mi sono sentito un genuino regista europeo”, dice Allen durante l’incontro con i giornalisti a Venezia.
A guardarsi indietro non esita a definirsi “un uomo fortunato, ho avuto dei genitori che mi hanno amato molto, ottimi amici, una vita bellissima e un matrimonio meraviglioso. Compirò a breve ottantotto anni e non sono mai stato in ospedale, non mi è mai successo nulla di terribile. Quando ho iniziato a fare film tutti hanno enfatizzato le cose che facevo bene e non mi hanno ritenuto responsabile di altre, sono sempre stati molto generosi con me, ho ottenuto rispetto e attenzioni. Spero che questa buona fortuna continuerà, ma la giornata deve ancora finire…”, scherza. Sulla possibilità di ripetere in altri paesi l’esperienza francese, lascia una porta aperta, “a volte ricevo telefonate da paesi che si offrono di finanziare un mio film se girerò nella loro lingua. Se dovessi avere una buona idea per l’Italia o un altro paese, potrei considerarlo. A volte non conosco abbastanza bene il paese, ma l’esperienza in Francia è stata così bella che la rifarei se pensassi di essere in grado”.
Non si ritiene invece particolarmente bravo a scrivere i ruoli maschili, “ho sempre scritto le parti più interessanti per le donne, forse perché gli autori che mi hanno più influenzato hanno tutti scritto per le figure femminili. Non sono mai stato in grado di scrivere particolarmente bene i ruoli maschili eccetto quelli pensati per me”. Da quasi cinquant’anni il suo modo di scrivere rimane sempre lo stesso, una sequenza di piccoli rituali ai quali non rinuncia: “Mi alzo, faccio i miei esercizi, faccio colazione, poi mi sdraio sul letto con carta e penna e scrivo, quando ho finito ricopio tutto con la macchina da scrivere. L’ho sempre fatto e continuo a farlo ancora oggi”. A chi gli chiede se l’umorismo possa essere un buon antidoto contro la morte risponde che “non c è nulla che si possa fare contro la morte, dobbiamo tenercela. Non pensarci troppo è tutto ciò che possiamo fare, non c’è via di fuga, né con la scienza né con la commedia, possiamo solo distrarci”.
di Elisabetta Bartucca