“Mio padre entrava e usciva dalle nostre vite. Adoravo la sua attesa”. A parlare è Jennifer, la protagonista di Una vita in fuga (Flag Day in originale), il nuovo film di Sean Penn ispirato alla storia vera di John Vogel, il più noto falsario della storia americana, in uscita al cinema il 31 marzo. Il film, presentato al festival del cinema di Cannes, è tratto dal romanzo biografico della figlia, Jennifer Vogel, Flim-Flam Man: The True Story of My Father’s Countrefeit Life.
Sean Penn è John Vogel, un padre anticonformista, emozionante e straordinario che insegna a sua figlia Jennifer a vivere una vita di rischio e avventura. È esaltante per una bambina. Crescendo, la realtà inizia a divorare l’immagine del suo eroe. Le sue storie inverosimili non tornano più, ma le conseguenze sconsiderate sì. Jennifer costruisce una vita tutta sua, lontana dalla sua infanzia instabile. Ma mentre i piani folli di John continuano ad intensificarsi, non può fare a meno di essere attratta da suo padre e dalla sua avventura più devastante.
C’è la natura selvaggia ad avvolgere i protagonisti, c’è la musica di Eddie Vedder, la regia ispirata e ormai riconoscibile di Sean Penn. A tratti ci sembra di essere di nuovo dentro Into The Wild, ed è inevitabile, perché Una vita in fuga, in qualche modo, porta avanti la poetica del regista. Ma Into The Wild era la storia un figlio senza padri, Una vita in fuga è invece la storia di una figlia con un padre, ingombrante a volte, assente molte altre, ma una figura che non se ne va mai. Alex in Into The Wild rifiutava dichiaratamente il padre (e la madre), il suo stile di vita, tutto quello che rappresentava, e lo abbandonava volutamente. Jennifer invece anela alla presenza del padre, tende naturalmente a lui, lo ama e desidera la sua presenza.
“La sua voce mi faceva pensare di far parte di un mondo più grande, che potevo solo sognare”. Una vita in fuga, in fondo, è una storia d’amore, una serie di lettere d’amore da figlia a padre e da padre a figlia. È come se Sean Penn, con questo film, volesse in qualche modo compensare quello che accade nella storia. Jennifer ha un grande bisogno d’amore, ha bisogno del padre, gli manda continuamente messaggi d’amore. Che vengono disattesi, a volte ignorati, a volte corrisposti, ma sempre a corrente alternata. Per compensare la triste storia di Jennifer, Sean Penn sceglie come protagonista del film la propria figlia (e di Robin Wright), la mette al centro della storia, la illumina, la coccola, la valorizza. Il film è pieno di primi piani, con una macchina da presa che le sta sempre addosso, la accarezza amorevolmente. E, fondo, fa la stessa cosa Eddie Vedder, ancora una volta accanto a Penn con le sue musiche dopo Into The Wild, con delle nuove canzoni che però affida spesso alla figlia, Olivia Vedder, e alla sua voce pulita e malinconica (oltre ad affidarle a Glen Hansard, e a regalarci una versione intima e magnetica di Drive dei R.E.M.). E così, i due amici, Sean Penn ed Eddie Vedder fanno quello che non fa John Vogel. Si prendono cura delle figlie come padri amorevoli.
“Society, you′re a crazy breed, I hope you’re not lonely without me”. Ricordate? La cantava Eddie Vedder nella colonna sonora di Into The Wild. “Società, sei una razza impazzita. spero tu non ti senta sola, senza di me”. E quella canzone ci viene in mente ancora, mentre ascoltiamo le nuove canzoni. Ma soprattutto perché Una vita in fuga è ancora una volta – se vista dal punto di vista del protagonista maschile – la storia del rapporto tra un individuo e la società, alle cui regole John dimostra di non riuscire a sottostare. Alex scappava, e mollava tutto. John la combatte, con le sue truffe, i suoi espedienti, vuole sconfiggerla, ma ne viene sconfitto. C’è ancora tanto Into The Wild in questo film. La natura selvaggia, la sua forza, che Penn coglie con inquadrature alla Terrence Malick, quelle insegne dei locali al neon, una delle quali diventa un disegno di John, che Jennifer porta sempre con sé. Il rapporto controverso con il denaro, che della “società” è il simbolo. Chi non lo vuole affatto e se ne libera, chi ne vuole il più possibile, e allora se lo crea.
“Da piccola pensavo che tutte le cose eccitanti che organizzava fossero un regalo per me”. Quella bambina che vedeva il suo papà come un principe, e che a sua volta si sentiva principessa, è cresciuta ed è diventata una ragazza problematica, ma così forte da trovare la sua strada, e diventare una giornalista. Quella ragazza è interpretata da Dylan Penn, un corpo da pin-up, ma soprattutto un viso dolce, dai tratti gentili, degli occhi blu che fanno trasparire uno stupore e una delusione che sono ancora quelli di una bambina. Se le promesse saranno mantenute, diventerà una star. In quell’incontro con il padre, in quel campo/controcampo con i due a tavola, con i volti in primo piano, c’è tutto il contrasto tra un mondo e l’altro, tra la disonestà e l’operosità, tra una vita senza speranza, e una vita che speranza ne ha ancora. Se ha un pregio, il film di Sean Penn, è quello di dare una luce sul Sogno Americano. Quella seconda possibilità, se non ce l’ha John, ce la può avere la figlia. E, com’è giusto, almeno le colpe dei padri non ricadono sui figli.
Certo, Una vita in fuga non è un film perfetto. La narrazione frammentata, la forma eterea del racconto toglie un po’ di forza a una storia che forse poteva essere raccontata in un altro modo, con un film meno lirico, meno, per fare un confronto, alla maniera di Into The Wild. A volte, guardando il film, si perde il filo del racconto. Ma, se ne perde il ritmo, ne guadagna la poesia. Quando vediamo Jennifer adulta entrare in scena vestita da rocker, capiamo qual è la natura del film. È una ballata rock, ora acustica ora elettrica, una canzone che vive di quei piano/forte di certe canzoni dei Pixies o dei Nirvana. Una vita in fuga è dolce e violento. È come certi genitori che ai figli possono fare tanto bene, ma anche tanto male.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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