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Buen Camino: Checco Zalone è tornato per salvare il cinema

Buen Camino: Checco Zalone è tornato per salvare il cinema

“Cosa fai il Cammino di Santiago in Ferrari?” “Questo è il Cammino di Maranello. Più comodo e più bello”. Signore e Signori, ecco Buen Camino, il nuovo film con Checco Zalone, diretto da Gennaro Nunziante, in uscita il 25 dicembre distribuito da Medusa. Sì, proprio il giorno di Natale: perché Checco Zalone è l’atteso Messia, il Salvatore del cinema italiano. Nella storia di Buen Camino Checco è un uomo ricchissimo e ignorante, un uomo senza qualità che non ha mai lavorato un giorno in vita sua. “Tutto quello che posseggo è frutto di sessant’anni di duro lavoro. Di mio padre” racconta orgoglioso a una giornalista americana. Che gli chiede della sua ex moglie, ed ex modella. “Ma come si fa a lasciare una modella così bella?”. “Si prende il nuovo modello di modella, più giovane e più bella” risponde candido, presentando la nuova compagna Martina, 25 anni, da Città del Messico. “Ma non so quale città”, commenta lui. Insomma, un ignorante nel senso che ignora, contento di essere così. Ma il matrimonio finito gli ha lasciato una figlia, Cristal (“come lo champagne”), non ancora diciottenne, che ha lasciato tutto per intraprendere il Cammino di Santiago…

“È sempre bello mostrare la ricchezza a chi non può permettersela. Fa sognare” dice Checco nella stessa intervista alla giornalista. E non possiamo dire che non colga nel segno. Da qualche anno, da quando ci sono i social (ma, attenzione, anche le serie tv hanno le loro colpe), un senso tutto nuovo per la “riccanza”. Che è qualcosa di molto diverso dalla ricchezza. È la ricchezza ostentata, esibita con sfrontatezza e con sfarzo, con uno sfoggio convinto e orgoglioso. È la ricchezza fine a se stessa, fine e non mezzo, priva di contenuto di gusto e di cultura. Personaggi con look improbabili e misurabili solo in “k”, cioè in base al loro costo. Niente a che vedere con l’alta società di una volta, che era anche modello di stile.

Ma da quando ci sono i social c’è anche anche un certo gusto e una cera orgogliosa rivendicazione dell’avere fatto i soldi senza alcuna fatica, di poter dire a testa alta che non si lavora e che si è contenti di farlo. Checco Zalone, nel suo personaggio, racchiude tutto questo. Ma ne ha per tutti: dagli chef stellati agli intellettuali criptici e pretenziosi. Luca Medici costruisce il personaggio fin dalla parte fisica: dai capelli biondi e ricci, che finiscono per essere un parrucchino, anzi un “patch cutaneo”, ai tatuaggi volgari sul corpo, al look eccessivo e sgargiante.

Checco Zalone allora è il Messia, il Salvatore atteso il giorno di Natale. E per non sbagliare dà vita a un film “per tutti”, con pochissime volgarità e la solita comicità politicamente scorretta. Che però tiene più a freno di altre volte, soprattutto nella seconda parte. Stavolta, a differenza dell’ultimo Tolo Tolo, nobile negli intenti ma non completamente riuscito, lascia fuori la politica, anche se qualche stoccata la lancia. Quando parla di Tarek (che lui chiama “Star Trek”), regista teatrale e nuovo compagno dell’ex moglie, lo definisce “l’unico palestinese che occupa un territorio, Gaza. Gaza mia”. Che è come dire: il film è su un’altra cosa, ma mi rendo conto di cosa sta succedendo. L’altra battuta, già uscita nei trailer, e criticata, è quella che recita, a proposito di un ostello che trova sul cammino “mi ricorda un film… Schindler’s List”. La gag non si ferma qui, ed è portata avanti. In questo caso non è politica, ma serve a definire il personaggio: un uomo così viziato da trovare invivibile un ostello.

Il gioco di Checco Zalone è sempre stato quello del Candido di Voltaire, che vede con occhi diversi la situazione e la smaschera. E, a livelli di schema narrativo, è quello del Peter Sellers di Hollywood Party, cioè l’uomo sbagliato nel posto sbagliato. Di solito, però, il punto di partenza era diverso. Checco è sempre stato l’uomo comune che si trova in luoghi più complicati di lui (il pugliese ingenuo a Milano era stato lo spunto di Cado dalle nubi). Stavolta è un uomo che parte dall’alto, che è ricco, che ha tutto, e deve scendere, cominciare a togliere. L’ignoranza dei personaggi è però il tratto comune.

Checco Zalone qui sceglie accanto a sé due attrici poco note. Sono perfette per il suo cinema perché inedite, credibili, sobrie, funzionali alla storia e in grado di non sovrastare il suo istrionismo, ma di completarlo. La figlia Cristal è Letizia Arnò, diciotto anni appena compiuti e un sorriso che apre un mondo. Finalmente al cinema vediamo una ragazza normale. La compagna di viaggio spagnola Alma è la spagnola Beatriz Arjona, una fisicità e un’espressività che ricordano la nostra Barbara Ronchi. Pare che il ruolo fosse stato pensato per Penelope Cruz. Ma è arrivata Beatriz è il risultato è stato ottimo.

Checco Zalone ha un senso tutto suo del cinema comico. Nei suoi film c’è un’attenzione massima per la battuta. Pensa a un film non sono solo come gag comiche attorno alle quali è costruito il tutto, ma ricerca la risata in ogni spazio, anche in momenti di raccordo tra un quadro e l’altro, nei momenti di respiro, in cui non te l’aspetteresti, in cui altri non la metterebbero. In questo modo Luca Medici – questo il vero nome dell’attore – dimostra un’attenzione particolare verso lo spettatore: cerca di non perderlo mai, di tenerlo sempre all’erta, sempre sveglio. Il film è la storia dell’evoluzione di un padre, ed è normale che la “cattiveria” della prima parte poi sfumi nei buoni sentimenti, ma questo fa sì che il ritmo e il divertimento si smorzino un po’, mentre nei suoi primi film tutto era altissimo, fino alla fine. È insomma il solito Checco Zalone, che fa ridere, pensare, ma ha un po’ il freno a mano tirato su un politicamente scorretto che in lui non è mai stato fine a se stesso ma sempre funzionale a una critica. È un Checco Zalone che piacerà a tutti, a destra e a sinistra. E per provare a diventare campione d’incassi forse serve proprio questo.

di Maurizio Ermisino 

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