Versatevi un bicchiere d’acqua, fatevi un bel sorso, rinfrescatevi e iniziate a leggere. Se ne è parlato tanto lo scorso settembre, quando Father Mother Sister Brother, il film di Jim Jarmusch, ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. In molti avrebbero voluto un verdetto diverso. Ora il film di Jarmusch arriva finalmente nelle sale, il 18 dicembre, distribuito da Lucky Red. Ed è una visione estremamente piacevole. Quando vorrete cercare un po’ di requie dalle visioni più tonitruanti e fragorose, qui troverete delle storie semplici, sommesse. Il conforto di un po’ di tè e il refrigerio di un po’ d’acqua. E, come vedrete, non usiamo queste parole a caso. Father Mother Sister Brother è un trittico, è l’unione di tre storie che raccontano le relazioni tra figli adulti, i loro genitori piuttosto distanti e tra fratelli. Ognuna delle tre parti è ambientata nel presente e ciascuna in un paese diverso. Father è ambientato nel Nord-Est degli Stati Uniti, nel New Jersey caro a Springsteen, Mother a Dublino, e Sister Brother a Parigi. Le città servono da cornice a dei racconti che si svolgono soprattutto in interni, quasi in unità di tempo e luogo, come se fossero tre atti di una pièce teatrale. Ed ecco allora una serie di ritratti intimi, osservati senza giudizio, in cui la commedia è attraversata da sottili momenti di malinconia.
In Father un fratello e una sorella – interpretati da Adam Driver e Mayim Bialik – vanno a trovare l’anziano padre (che ha
il volto e lo spleen di Tom Waits, attore feticcio di Jarmusch), che appare a loro malandato, indifeso, poco curato. Sono loro, ora, che si prendono cura di lui, che si preoccupano, che lo aiutano portandogli qualcosa di buono da mangiare. La casa è disordinata, e sembra esserlo anche lui. In Mother sono due sorelle – Cate Blanchett e Vicky Krieps – ad andare a trovare la madre, una Charlotte Rampling che, a differenza del genitore dell’altro episodio, appare elegante nel suo vestito rosso, in forma, giovanile a dispetto dei capelli grigi. È una scrittrice di romanzi, di racconti di finzione. E tutto, nell’incontro tra lei e le figlie, è un po’ finzione, con entrambe, soprattutto una, che raccontano della loro vita quello che vogliono, senza che ci sia la verifica, la controprova. In Sister Brother due fratelli si incontrano per salutare i genitori che hanno perso la vita in un incidente aereo. E, attraverso foto e altri ricordi, scoprono che in fondo non li conoscevano così bene.
Tre racconti sullo stesso tema, sono però molto diversi a livello di struttura narrativa. Father è sorprendente per l’epifania – come fosse quella di una novella letteraria – che cambia completamente la prospettiva del racconto. Ce l’aspettiamo anche negli altri capitoli. Ma il secondo si chiude in modo piuttosto irrisolto, lasciando un po’ l’amaro in bocca. Anche il terzo riesce a sorprendere, ma non con un colpo di scena finale, quanto con un lento e leggero lavoro si svelamento attraverso degli indizi. Va a finire che i due fratelli non conoscevano davvero i loro genitori. Ma forse i protagonisti del primo episodio non conoscono davvero il padre, e la madre del secondo non conosce davvero le figlie. La vita è una recita, sembra volerci dire Jarmusch, e ognuno di noi interpreta una parte.
Ma Father Mother Sister Brother è un film più complesso di quello che sembra, un lavoro certosino per come lavora sui dettagli. Con il primo racconto non si notano poi tanto o, almeno, non ci si fa subito caso. Ma dal secondo è già evidente: i vari racconti hanno una serie di elementi in comune che li legano tra loro, che possono essere puro ornamento o avere un loro significato. Cominciare a notarli diventa un gioco. Gli skateboard, le automobili più o meno nuove, più o meno funzionanti, gli orologi, anzi quel tipo di orologi. E ancora i fiori e le vecchie foto, lo “zio Bob” e “desolandia”. Il tè e il caffè che confortano e con cui si può brindare. E quell’acqua che può essere una vera e propria medicina. “Father Mother Sister Brother è una sorta di film di anti-azione; il suo stile fine e sommesso è costruito meticolosamente per permettere l’accumulo di piccoli dettagli, quasi come fiori sistemati con cura in tre composizioni delicate”. È questo che dice Jarmusch de suo film.
E allora, mentre ancora pensiamo a quelle storie, a quei personaggi, a quei dettagli, ci viene da soffermarci su uno di essi in particolare. L’acqua. Perché l’acqua? Forse perché è una di quelle cose che diamo per scontate, che ci sembrano semplici e che ci sono sempre state. Ma che sono preziosissime. Come i genitori per i propri figli.
di Maurizio Ermisino
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