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Festa del Cinema di Roma, California Schemin’: la grande truffa dell’hip-hop. Dirige James McAvoy

Festa del Cinema di Roma, California Schemin’: la grande truffa dell’hip-hop. Dirige James McAvoy

2003, Dundee, Scozia. Mentre Gavin sta telefonando da una cabina, sullo sfondo appare un palazzo dai mattoni rossi con un enorme murale. È raffigurato Ewan McGregor in Trainspotting, e proprio nella scena in cui riemerge dal water di quel fetido bagno. A lato, a caratteri cubitali, c’è scritto qualcosa del tipo “essere scozzesi fa schifo”. È davvero così? È quello che probabilmente sentono nel profondo Gavin e Billy, due ragazzi scozzesi che lavorano in un call center e vivono, respirano, pensano e parlano a tempo di rap. Sono bravissimi: riescono a fare rime potenti, in grado di scuotere, tutte potenziali canzoni di successo. E, come detto, anche tra loro, o con i loro capi, si esprimono a ritmo di “bars”. Così provano a entrare nel mercato: vanno a Londra, ottengono un’audizione per una grossa casa discografica. Ma, arrivati lì, non appena accennano alle prime rime, i talent scout ridono loro in faccia. L’accento scozzese e le storie scozzesi con il rap non vanno d’accordo. Billy, come dimostra al lavoro, è un grande venditore, in grado di piazzare qualsiasi cosa (Gavin, invece, è più timido). Così i due provano a rappare con slang e accento americano. Ci riescono. Il punto è che ci crede anche la casa discografica londinese. E allora diventano di colpo… californiani. Il loro accento, la loro storia, il loro background, fingono su tutto. E il gioco, a quanto pare, funziona. E così Gavin e Billy diventano i Silibil N’ Brains. È una storia talmente incredibile che nessuno sceneggiatore potrebbe averla scritta. Infatti è una storia vera.

California Schemin’, presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione FreeStyle, è il film d’esordio alla regia di James McAvoy, attore noto e dalla personalità fortissima. Era tutto chiaro dalla prima volta che lo abbiamo visto, in The Last King Of Scotland. Partito anche lui dalla Scozia, di fatto americano lo è diventato davvero. Nel senso che è stato adottato immediatamente da Hollywood e lanciato nel mercato dei blockbuster. Senza fingere di essere americano, ovviamente, ma vivendo benissimo in quel mondo. McAvoy è stato il Professor Xavier nel mondo degli X-Men, è stato il villain dei film di Shyamalan Split e Glass. La prima cosa che ci si chiede, nell’avvicinarsi a un film da regista è: che stile avrà, hollywoodiano o britannico?

La risposta è la seconda. Tornato in Scozia McAvoy sceglie uno stile di regia che viene dal suo mondo. E così, California Schemin è un film tipicamente britannico. Tutta la prima parte, e il finale, girati in Scozia, sembrano quasi un film di Ken Loach, fatte ovviamente le sacrosante e debite proporzioni. Ma c’è un ritratto attento di questi ragazzi che appartengono alla working class e vivono una vita in cui nessuno fa loro degli sconti, con la macchina da presa sempre all’altezza dai personaggi. A Londra, ovviamente cambia la vita dei ragazzi e cambia la vita del film. Dovendo fare un accostamento, potremmo pensare in certi momenti proprio a quel Trainspotting di Danny Boyle, un’altra storia che, anche se in modo diverso, parlava di vite di persone normali che venivano spinte all’eccesso.

La storia della musica è piena di truffe. Pensiamo ai Milli Vanilli, promesse della black music che vinsero anche un Grammy Award, ma che non cantavano davvero le loro canzoni. O, per restare a casa nostra, un certo Den Harrow, anche lui volto di una voce che non era sua. Si dice che i Sex Pistols fossero un gruppo costruito a tavolino e lanciato ad arte, senza che sapesse suonare, ma sui Pistols la cosa vale fino a un certo punto, perché le canzoni le avevano, e sono anche rimaste nella storia. Furono definiti “la grande truffa del rock’n’roll”. E così i nostri eroi potrebbero essere definiti “la grande truffa dell’hip-hop”. Se non fosse che l’inganno si è fermato un attimo prima che i due diventassero molto famosi.

James McAvoy costruisce il film in maniera sapiente, realizzando una tipica storia di “rise and fall”, di ascesa e caduta, e gestendo al meglio tutti i passaggi, arrivando al climax al momento giusto. In questo senso si gioca la migliore canzone del duo, Superhero, proprio nel momento chiave del film. Riesce a raccontare bene i caratteri dei due protagonisti che, man mano che la storia avanza, sembrano scambiarsi i ruoli. Billy, il più estroverso, finisce per essere il più restio e il meno convinto dell’operazione; Gavin, che era il più insicuro, invece, trascinato dalla sua sete di rivalsa spinge questa situazione oltre i limiti. Con il rischio di fare male a entrambi.

La cosa curiosa di questa storia è che i due amici, mentre mettevano in scena questa ardita messa in scena, stavano filmando tutto con una videocamera amatoriale. Li vediamo spesso riprendere alcuni momenti chiave del loro percorso, e McAvoy si diverte a interrompere le immagini pulite del suo girato con quelle più sporche dei filmati amatoriali, ricreate ad arte per sembrare vecchie e sgranate. Alla fine, le immagini di quei filmini dei primi anni Duemila le vediamo davvero. E così, dopo aver conosciuto la loro “leggendaria storia”, come l’avrebbe chiamata Sydney Sibilia, conosciamo davvero i due ragazzi com’erano allora. E, ancor di più, capiamo che ci fanno tenerezza e simpatia.

James McAvoy (che appare anche in scena nei panni del discografico di Londra), alla sua opera prima, si dimostra subito un Autore. Perché non sceglie solo di raccontare una storia originale, e lo fa al meglio. Ma perché fa un film per parlare anche di sé e di un tema che ha a cuore. Ce lo spiega lui stesso nelle note di regia, ed è tutto chiaro.  Questo film ha una profondità che va oltre l’intrattenimento dell’inganno messo a punto dai due protagonisti. Ciò che mi interessava infatti non era se sarebbero stati scoperti, ma se fossero riusciti a conservare il loro equilibrio mentale e la loro amicizia. Sarebbero riusciti a rimanere fedeli a loro stessi mentre aderivano ai modelli imposti dall’ambiente musicale, abbandonando la cultura scozzese che li aveva plasmati? Anche io, in modo diverso, ho percorso un sentiero simile. È per questo che ho voluto raccontare questa storia”.

di Maurizio Ermisino

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