Rocky Mountain, Colorado, 1957. Una ragazza fa una chiamata da un telefono nero, in una cabina perduta nel nulla, in mezzo alla neve bianca. Dice che quel numero lo ha sognato. Dall’altro lato del filo il segnale è disturbato. E noi non possiamo sentire che cosa viene detto. Stacco di montaggio. Siamo a North Denver, nel 1982. Un ragazzo, Finney, sta picchiando un altro fuori dalla scuola. Una ragazza, Gwen, lo blocca. È sua sorella. È così che inizia Black Phone 2, diretto da Scott Derrickson, il nuovo horror prodotto dalla Blumhouse, che prova a sfruttare il successo del primo film con Ethan Hawke, nelle nostre sale dal 16 ottobre.
Ma chi sono quei ragazzi? Finney (Mason Thames) è il ragazzino che era stato rapito dal Rapace (The Grabber, in originale), l’inquietante maniaco interpretato da Ethan Hawke. È cresciuto, è diventato un ragazzo violento, chiuso in se stesso. Dentro di sé ha ancora i fantasmi di quei giorni trascorsi nello scantinato del Rapace, tanto che a volte gli sembra di vederlo. La sorella Gwen (Madeleine McGraw), invece, ha proprio dei sogni premonitori. E crede di aver capito che la storia del fratello, quella del Rapace, e quelle della madre possano trovare risposte in quel centro tra le montagne rocciose. E così decidono di recarsi lì.
Scott Derrickson gira quindi un film su due piani, il reale e l’onirico, mescolando stili e registri. Se il reale è nitido, pulito, il sogno ha un’immagine sporca, sgranata, come quella di vecchie riprese in Super 8. All’inizio il gioco sembra funzionare, con una serie di immagini veloci e confuse che si affastellano quasi in modo subliminale. Immagini che disturbano e hanno una vera presa.
Ben preso, però, capiamo che la storia ci porta completamente da un’altra parte. Il telefono nero, che era un oggetto chiave nella storia del primo film, ma era uno, e in un solo luogo, qui appare più volte, protagonista e tramite tra due mondi. Sì, perché il Rapace era morto alla fine del primo film, e questa cosa non può essere cambiata. E allora, per portare avanti la storia, si opta per una ghost story. Il Rapace è un fantasma che vive nell’aldilà ma riesce a palesarsi nel nostro mondo. Come? Attraverso i sogni di Gwen. Alla maniera di Nightmare, di cui, a un certo punto, Black Phone può quasi essere considerato un plagio.
A livello narrativo, Black Phone è un film molto furbo. Perso del tutto il senso del primo film, che era la paura reale, concreta, per la violenza di un uomo dalla quale sembra impossibile scappare, un incubo ad occhi aperti, e presa la strada del soprannaturale, il film non riesce mai a spaventare davvero. E così si inventa un paio di jumpscare a volume altissimo, che spaventano solo per il sonoro.
Ma, se consideriamo l’operazione nel suo complesso, Black Phone 2 è un film disonesto. Perché sfrutta il successo del primo, e il suo marchio, per proporre un film di tutt’altro tipo. Anche l’utilizzo del nome di Ethan Hawke, che nei titoli di testa appare alla fine, ma nella locandina del film campeggia in bella vista, è disonesto. L’attore americano è in qualche modo in scena, ma, coperto da maschere, non si vede mai, a differenza del primo film. E di Hawke appare solo la voce, comunque processata per apparire minacciosa. Vendere Black Phone 2 come un film con Ethan Hakwe, insomma, è una forzatura.
Ecco cosa accade quando si vuole fare a tutti i costi un sequel di un film perfetto, che aveva un suo compimento, un suo inizio e una fine. Sì, perché non tutte le storie possono essere continuate. E non è obbligatorio farlo. Ne viene fuori, allora, un film stiracchiato, forzato, scritto male e girato peggio, un film di serie B (non inteso nel modo quasi nobilitante che ogni tanto si usa oggi), da passaggio in tv, forse neanche per lo streaming. Da salvare c’è la bravura della giovane protagonista, Madeleine McGraw, che in questa storia che fa acqua – anzi ghiaccio – da tutte le parti è l’unica che ci crede e riesce ad essere miracolosamente credibile. E, a metà film, una bellissima The Wall Pt. 1 (la parte meno nota) dei Pink Floyd. Loro sì che sono di serie A.
di Maurizio Ermisino
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