“Il Vesuvio fabbrica tutte le nuvole del mondo” scriveva Jean Coucteau. E da qui, dalle nuvole e del cielo di Napoli parte il racconto di Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi, Premio Speciale della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia e nelle sale italiane dal 18 settembre. Gianfranco Rosi fa un film completamente inaspettato. Se Pino Daniele cantava “Napule è mille colori”, Rosi spiazza subito girando un documentario in bianco e nero. Partendo dall’idea che dal cielo si passa alla terra per finire nel sottosuolo. È qui che un’archeologa del MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ci svela i suoi tesori, è qui che i carabinieri inseguono i tombaroli. È sempre nel buio, quello della notte o di una camera di controllo, che i vigili del fuoco rispondono a richieste urgenti, ma anche futili.
Mentre la bellezza della città, grazie al bianco e nero, è mostrata con eleganza e con pudore e mai ostentata, emergono le ansie per pericoli vicini o lontani. “Tra la guerra e il terremoto che morte ci volete far fare per primi?” chiede al centralino dei pompieri una donna, con un’ironia amara che sembra uscita da una commedia di Eduardo. “L’inquadratura deve contenere anche quello che non si vede” gli aveva insegnato Bernardo Bertolucci che, nel 2013, lo aveva premiato qui con il Leone d’Oro per Sacro GRA. E così Sotto le nuvole racconta “una Napoli che ne contiene un’altra, in una continua ricerca del fuoricampo”.
Così si parla di microcriminalità a Napoli, ma fuoricampo. È la radio, con un notiziario, a farci sapere una serie di notizie sul fenomeno, mentre, con un’immagine a contrasto, un placido antiquario apre le serrande del suo negozio e si appresa a iniziare la sua giornata lavorativa. Così l’ombra delle guerre passa per un attimo nelle nostre teste mentre un anziano maestro parla con i ragazzi del doposcuola che segue ogni giorno. Sotto le nuvole del bellissimo cielo di Napoli ci sono tante persone comuni, come queste, o quelle di cui sopra, fanno il loro lavoro quotidiano con fatica e con passione. Anche in questo modo Rosi ci mostra un volto inedito, poco battuto, di Napoli.
Tutto questo viene raccontato con un montaggio creativo, che lavora per analogie e affinità elettive. Dai famosi corpi carbonizzati e fissati in un attimo per l’eternità di Pompei si passa ai corpi plastici, anche questi fissati nell’eternità, delle antiche sculture classiche in marmo. È particolarmente affascinante il lavoro dell’archeologa del museo, quel suo dedicarsi alle opere che non sono esposte, quelle che non ce l’hanno fatta. Quel suo scrutare, con la luce di una torcia, e non con quella dell’impianto generale, per scoprire particolari che non appaiono a prima vista. Se ci pensiamo, è proprio il lavoro che fa Rosi con la sua macchina da presa. Scrutare, andare tra le pieghe, gli anfratti, cercare ciò che non si vede per illuminarlo e farcelo notare.
Sotto le nuvole è anche una riflessione sulla memoria, che può essere vista in vari sensi. La memoria è nei reperti storici, che la conservano per millenni e la fanno arrivare a noi. Ma è anche nelle immagini. Come nelle fotografie delle opere che vediamo fare al museo. Nei filmati d’archivio, che Rosi usa come commento e controcampo alle immagini principali del suo documentario. E, ovviamente è nelle sue immagini preziose e mai banali. Ma anche nella cultura trasmessa a voce, quella del maestro di cui parlavamo prima. Come in ogni sua opera, Rosi si affida a delle persone, ne fa le sue “guide” e si fa portare in giro da loro. È la forza e il limite del film: che ha più fili conduttori, ma rischia a tratti di essere ripetitivo nel suo racconto. In ogni caso, anche grazie al bianco e nero, è un racconto fatto di forti chiaroscuri, un racconto affascinante e mai scontato.
di Maurizio Ermisino
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