Bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga uguale. Ricordate? Era la frase chiave de Il Gattopardo. Ci è venuta in mente guardando M3GAN 2.0, sequel dell’horror ironico e iconico che era stata una sorpresa delle ultime due stagioni cinematografiche. Il nuovo film arriva in piena estate, da qualche anno deputata anche da noi ad essere la stagione dei brividi: è al cinema dal 26 giugno. Nel riprendere le fila della storia che ci parlava in modo non banale delle Intelligenze Artificiali, Gerard Johnstone ha deciso però di cambiare molto, nell’impostazione della storia e del tono del racconto, per provare a mantenere la sorpresa e la forza del primo film. Ci sarà riuscito? Lo vedremo.
M3GAN 2.0 vede Gemma (Allison Williams), che era stata la creatrice di M3gan, una bambola / dama di compagnia regolata dall’AI, riprendersi dal fallimento della sua creatura, e dai pericoli corsi. Sta frequentando Christian (Aristotle Athari), un filantropo del mondo della tecnologia, e insieme fanno un lavoro di informazione per mettere in guardia le persone dai pericoli delle AI. Cady (Violet McGraw), la nipote di Gemma, è cresciuta, è una ragazza serena con la sua vita, fa arti marziali, e sembra aver dimenticato le paure legate a M3gan. Nel prologo del film, però, ci siamo trovati in una zona di guerra, in una delicata operazione di intelligence con al centro un personaggio molto particolare: è Amelia, un robot letale che sembra avere qualcosa in comune con M3gan. È letale, indistruttibile, e fuori controllo. E le sue vicende si incroceranno con quelle di Gemma.
L’inizio dei giochi, a tutti gli effetti un film di spionaggio, ci spiazza. E sembra rendere subito M3GAN 2.0 un film più debole del primo. La riflessione sull’AI ci sembra la stessa, senza che il nuovo capitolo apporti qualcosa di più. Ma il primo film aveva la sua forza nel perturbante che era insito nella storia: quella di un giocattolo, una bambola, che doveva essere rassicurante e muoversi nelle tranquille mura domestiche e che si rivelava infida e pericolosa. La storia era inquietante e perturbante per questo, perché minava le nostre sicurezze. Un essere che da migliore amico diventava una macchina di morte era uno spunto molto forte per creare tensione. In questo secondo film Amelia, parente ed evoluzione di M3gan, viene presentata da subito come letale e pericolosa. In questo modo tensione, escalation e sorpresa sono minori.
E poi c’è il tono del racconto. L’azione è mescolata a una comicità molto più spinta ed esplicita della sottile ironia del primo film. E questo non giova alla credibilità della storia: ci porta in qualche modo a non partecipare alle vicende, ad “uscire” dal film, perché ci sembra che tutto quello che stiamo vedendo sia solo uno scherzo. Ci troviamo così davanti a una spy-story fantascientifica, qualcosa di molto diverso dall’horror che ci mostrava l’insinuarsi dell’AI nel nostro quotidiano. Ma, con quel tono comico e sopra le righe, ci sembra spesso di trovarci in una sorta di parodia di Terminator. A proposito, il robot cattivo che, riprogrammato, diventa un personaggio positivo, un aiutante dei protagonisti, è presa proprio da Terminator 2: Il giorno del giudizio. E, a proposito di James Cameron, c’è anche una presa in giro del suo Avatar, con quel “I see you”, “io ti vedo”, che arriva proprio da là. Ma qua e là di sono citazioni de La cosa e Robocop, tutte cose che, se usate bene, avrebbero solleticato la fantasia dei cinefili, ma che in questo contesto non servono a molto.
Quella dell’horror comico, il film dell’orrore che fa paura ma anche ridere, o sorridere (la chiave è sempre in che modo e fino a che punto) sembra essere una delle chiavi dei nuovi film del genere. Ne avevamo parlato qualche tempo fa in occasione di The Monkey di Osgood Perkins. Ma lì la comicità, o ironia, era quasi una riflessione sull’impossibilità di fare l’horror di una volta, e un tentativo di esorcizzare la morte. Qui ci sembra un tentativo per rendere più appetibile una materia delicata. O provare a rendere più scorrevole una storia in cui, in fondo, non si crede molto. E per evitare in qualche modo il confronto con il primo, ottimo film. In questo modo, però, si annacqua un messaggio che potrebbe essere molto forte. Il film ci regala un’altra perla di Kate Bush che potrebbe tornare in tendenza dopo Running Up That Hill e Stranger Things. È This Woman’s Work, una canzone che merita di essere riscoperta.
di Maurizio Ermisino
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