“Mi hanno preso per un operaio e mi hanno rimandato indietro”. Il proverbiale understatement di Brad Pitt colpisce anche in una delle prime scene di F. 1 Il film, blockbuster ambientato nel mondo della Formula 1 diretto da Joseph Kosinski, in arrivo al cinema il 25 giugno distribuito da Warner Bros. Dopo averlo conosciuto in un’altra veste, in un altro mondo di gare automobilistiche, è questo il suo ingresso in scena il giorno del suo ritorno in Formula 1. Una giacca di camoscio sdrucita, una camicia di denim stazzonata, blue jeans e stivali. Non sembra certo il ritratto di un grande pilota di Formula 1 che torna sulle scene. Sembra, piuttosto, il Cliff Booth di C’era una volta a Hollywood, lupo solitario e controcorrente, eroe romantico in un mondo che va troppo veloce, che guarda troppo ai soldi, che non dà al tempo di fermarsi a nessuno.
Sì, in fondo il Sonny Hayes di Brad Pitt è un po’ Cliff Booth. Entrambi, di fatto, sono degli stuntmen, perché anche il lavoro di chi guida in Formula 1 è, o forse era, riuscire a cadere il più possibile senza farsi male. E perché, come il protagonista del film di Tarantino, anche Hayes vive in una roulotte, o un camper, se ne frega dei soldi e delle convenzioni sociali. Nel prologo del film lo abbiamo visto gareggiare nella 24 Ore di Daytona, quella gara con le macchine Gran Turismo in cui i piloti si danno la staffetta su unica macchina nei circuiti ovali americani. Hayes vince e, ancora una volta, se ne va nel suo furgone verso l’orizzonte. Un suo amico, ed ex pilota, ora a capo di una scuderia da risollevare (Javier Bardem) gli offre però una sfida inaspettata: guidare una monoposto di Formula 1, in cui non corre da trent’anni. Hayes era una promessa, guidava ai tempi di Senna e Schumacher, ma un incidente gli aveva fermato la carriera.
Sonny Hayes, in vita sua, ha guidato qualsiasi mezzo. Ma la Formula 1 è diversa. “Se vinci puoi dire di essere il miglior pilota del mondo”. Sopra la Formula 1, infatti, non c’è nient’altro. È vero: 30 anni di assenza sono forse troppi per qualsiasi sport, anche per la Formula 1, anche se di ritorni – dalla boxe, al basket fino all’automobilismo, con il caso di Mario Andretti – ce ne sono stati. 30 anni sono troppi. Ma questo è cinema, non scordiamolo. E, a proposito di cinema, F. 1- Il film mette in scena, tutti insieme, una serie di topos narrativi non da poco: il ritorno in campo del cavaliere che si era ritirato, che esiste dai tempi dell’Iliade (e, guarda caso, Brad Pitt in Troy faceva proprio Achille…), il confronto tra il personaggio giovane e quello maturo, che troviamo quasi in ogni film sportivo e quasi in ogni poliziesco. E, ancora, la squadra ultima in classifica che ha bisogno di una sferzata per tornare grande.
È strana, la Formula 1. È uno sport dove ci sono le squadre, ma in fondo è uno sport individuale. C’è un essere umano a gareggiare, ma le sue possibilità di successo non dipendono mai solo da lui, ma anche e soprattutto da una macchina. Ma qual è la vera sfida di F. 1 Il film? è provare a rendere uno sport al cinema più emozionante di uno sport dal vivo. Con tutte le difficoltà che comporta il costruire delle situazioni, e quindi prevederle, proprio in un mondo dove la chiave di tutto è l’imprevedibilità. Ci sono sport che al cinema rendono meglio di altri, alcuni non hanno affatto successo. Il calcio su grande schermo è difficilmente riproducibile, il basket anche. La boxe è uno sport cinematografico all’ennesima potenza, il football americano e il baseball non sono da meno. Se l’automobile al cinema ha sempre avuto fortuna, a livello sportivo è relativamente poco diffuso. Ricordiamo Giorni di tuono, Le Mans ’66 – La grande sfida, il nostro Veloce come il vento. Ma, a livello di Formula 1, di recente ricordiamo solo Rush, il film su Lauda e Hunt, che però è quasi un film storico, essendo ambientato negli anni Settanta.
La vera sfida del film, in realtà, è quella di riportare l’emozione in uno sport come la Formula 1 che, come dicono in tanti, non è più quello di un tempo. È uno sport dove, per fortuna, oggi c’è più sicurezza, ma dove non ci sono più i sorpassi di un tempo, i passaggi sui cordoli, i testa a testa con il rischio di finire fuori strada. E allora F. 1 Il film prova a riportarci quel mondo e prova a riportare in scena un pilota che è come quelli di una volta, un eroe romantico come Ayrton Senna, Alain Prost, Nigel Mansell, Niki Laura e Gilles Villeneuve. Quei piloti che oggi non ci sono più.
A dirigere c’è Joseph Kosinski, già al timone di un blockbuster storico come Top Gun: Maverick, ormai abile nel maneggiare con cura budget importanti ed eredità importanti. L’operazione in qualche modo è la stessa. Se qualche anno fa aveva ripreso in mano un mondo apparentemente intoccabile come quello di Top Gun, qui è come se riprendesse, anche se sono sport diversi, l’eredità di Giorni di tuono, con Brad Pitt al posto di Tom Cruise. Che sia Top Gun o che sia la Formula 1 la ricetta è la stessa: film ad alta velocità, ad alto contenuto di rock (qui si sentono i Led Zeppelin e i Queen, lì gli Who), macchine potenti ed evoluzioni al limite, maneggiate con una facilità estrema e confezionate in un prodotto ad alto tasso di intrattenimento.
F.1 Il film mescola lo stile delle riprese sportive a quello del cinema, e il risultato è riuscito. Dalle prime prende la classica ripresa della camera car, la mdp montata sulla macchina che ci fornisce la soggettiva del pilota, quello che vede davanti a sé correndo in pista. È cinema invece quella macchina da presa puntata al contrario, verso il volto del pilota, in primi piani che, anche con un casco addosso, riescono a far uscire le emozioni del pilota. Sono il campo e il controcampo di questo racconto. Kosinski, in questo modo, firma un film semplice ma complesso. Che inchioda il pubblico davanti allo schermo con un finale strepitoso.
Personaggio da film western nel mondo ultratecnologico delle corse, al centro di tutto c’è un Brad Pitt monumentale, forse l’unico vero divo di Hollywood rimasto insieme a Tom Cruise. Attori che sono ormai eterni, ma lo sono in modo diverso. Mentre Tom Cruise non invecchia affatto, Brad Pitt invecchia. Ma lo fa in un modo e con dei tempi completamente diversi dal resto dell’umanità. I segni del tempo, leggeri leggeri, si vedono sul suo volto – niente affatto su un corpo sul quale la regia indugia spesso – ma gli aggiungono espressività e fascino fuori dal comune. Brad Pitt oggi è un attore che riesce a creare emozione con piccoli cenni. Con quegli occhi piccoli e taglienti che si stringono, che sanno ridere senza che la bocca si muova. O proprio quella bocca che, invece, si apre in un mezzo sorriso che dice più di mille parole. Oggi Brad Pitt è un attore unico. Vedere lui e Tom Cruise insieme all’anteprima del film ci ha fatto pensare che, 30 anni fa, interpretavano due vampiri in Intervista col vampiro. E se i due eterni ragazzi lo fossero per davvero?
di Maurizio Ermisino
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