La prima scena della stagione 2 di Andor, disponibile su Disney+ dal 23 aprile, è puro Star Wars. Le luci si accendono ad una ad una in un hangar vuoto e bianco, dove è pronto un caccia che il nostro protagonista, Cassian Andor, sta rubando. Spazi bianchi e vuoti, l’inconfondibile tecnologia vintage o, se vogliamo, retrofuturistica che è il marchio di fabbrica del mondo creato ormai quasi 50 anni fa da George Lucas. È questo che vogliamo ogni volta che torniamo in quella galassia lontana lontana. E vogliamo anche storie forti, personaggi carismatici. E la magia. C’è tutto questo in Andor? E c’è tutto questo ogni volta che spingiamo play sul nostro telecomando per vedere una delle tante serie tv in streaming che prendono vita annualmente dal mondo di Star Wars?
In questi anni di sfrenato sfruttamento del franchise di Star Wars, da quando cioè la Lucasfilm è proprietà della Disney e ogni espressione di quel mondo è diventata inevitabilmente “contenuto”, ci sono poche opere che sono state definite all’altezza dei primi sei film di Star Wars, le due trilogie che sono nate sotto la direzione di George Lucas. Tra i film – perché prima dell’era dello streaming è su questo formato che si è puntato forte – a detta di molti uno dei migliori è stato Rogue One – A Star Wars Story, una sorda di spin-off, o midquel – o un prequel di Episodio IV – Una nuova speranza – che prendeva vita da una zona buia, non ancora raccontata, della saga, e ci costruiva su una grande storia: quella del furto dei piani di costruzione della Morte Nera. Una storia forte, un legame potente con la materia originale, e uno stile nuovo che, pur rispettando il canone di Star Wars, si ispirava ai film di guerra alla Apocalypse Now.
La serie tv Andor è a sua volta un prequel di Rogue One. Racconta infatti la vita di Cassian Andor, uno degli eroi che sono riusciti a rubare quel famoso progetto della Morte Nera e a far conoscere così il punto debole della temibile corazzata volante. Se quindi Rogue One aveva “un grado di separazione” dalla materia originale di Star Wars, Andor ha “due gradi di separazione dai film classici di George Lucas. E questo è uno dei problemi della serie. Già guardando i film che hanno concluso la saga degli Skywalker, gli episodi VII, VIII e IX, le serie tv che stanno popolando da anni Disney+, e lo stesso Rogue One, ci è stata subito chiara una cosa: più ci si avvicinava alla materia originale, quella dei primi sei film, e più il racconto inevitabilmente si accendeva, diventava appassionante. Non c’è nulla da fare: siamo legati a quelle storie e a quei personaggi, e qualsiasi indizio ci lega a loro ci scalda il cuore. Basta che appaia Darth Vader, o Luke, o Yoda. Anche se non è Yoda, ma è un fanciullo della sua stessa specie. Questa cosa ha un nome: si chiama nostalgia.
Andor, dunque, è una serie ben scritta. Ha una storia articolata, personaggi interessanti – o che almeno provano ad esserlo – delle tematiche serie, una trama intricata, forse fin troppo. L’idea è di raccontare Cassian Andor prima dell’eroica impresa di Rogue One. Ma, da qui, la storia di dipana in mille rivoli, raccontando varie storie di resistenza in un momento in cui l’Impero è all’apice ed è una minaccia che incombe sulle vite di molti. La distanza dalla materia originale, però, sembra essere un po’ troppa per accendere quella passione e quella nostalgia di cui stiamo parlando. È distante nei personaggi, che di fatto sono tutti “nuovi”. Lo è nelle situazioni.
Andor è sempre stata considerata dalla critica la migliore serie nata dal mondo di Star Wars, la più adulta, la più seria. Una serie di Star Wars senza le spade laser. Ecco, probabilmente la cosa che ci manca, guardando Andor, sono proprio le spade laser. Non tanto, ovviamente, in senso letterale, quanto in senso lato. Ad Andor manca quella fantasia che ha sempre contraddistinto il mondo di Guerre stellari. Manca la magia, manca l’incanto, il continuo senso di stupore. Quella giocosità, quel lato infantile che è sempre stato accanto al Lato Oscuro nelle storie di George Lucas.
Andor resta comunque una serie da vedere. È una serie di qualità, che vede in scena ottimi attori. Diego Luna è una sicurezza nei panni di Cassian Andor. Ma spiccano anche il villain fuori dagli schemi Ben Mendelsohn, l’ufficiale dell’Impero Orson Krennic, uno dei personaggi chiave di Rogue One, e l’intensa Adria Arjona, nei panni della ribelle Bix Caleen. E ancora Forest Whitaker e Stellan Skarsgård.
Resta però da chiedersi una cosa, che non vale solo per Andor, ma per tutta la strategia della Walt Disney. Per creare un mito, come è stato per tante persone Star Wars, che cosa è più utile? Rilasciare film e serie, anzi “contenuti”, due-tre volte l’anno, o un film ogni tre anni o più, creando l’attesa? Fino al passaggio alla Disney, eccezion fatta per alcune serie animate e gli spin-off sugli Ewoks, il mondo di Guerre stellari è consistito sostanzialmente in sei film. I primi tre, dal 1977 al 1983, sono rimasti a lungo gli unici film. Poi ne sono arrivati altri tre, dal 1999 al 2005. Per lungo tempo abbiamo avuto solo quei sei film. Così abbiamo avuto modo di assimilarli, di farli sedimentare, di vederli e rivederli, di parlarne e fantasticare su di essi. E di trasmetterli ai nostri figli. Vedere serie e film ogni anno non permette la stessa cosa. Perché diventi tale, una leggenda ha soprattutto bisogno di tempo.
di Maurizio Ermisino
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