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Eden: Il paradiso è un posto sulla Terra. O no? Il nuovo film di Ron Howard con Jude Law e Ana De Armas

Eden: Il paradiso è un posto sulla Terra. O no? Il nuovo film di Ron Howard con Jude Law e Ana De Armas

“Heaven is a place on Earth”. “Il Paradiso è un posto sulla Terra”, cantava Belinda Carlisle negli anni Ottanta. Era una canzone d’amore. Era davvero alla ricerca di un Paradiso in Terra, tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, una mente illuminata come quella del Dr. Friedrich Ritter, un personaggio realmente esistito e al centro di una storia incredibile. Che è diventata Eden, il nuovo film di Ron Howard, presentato ai Festival di Toronto e di Torino (dove è stato il film d’apertura) e in arrivo nei cinema italiani dal 10 aprile con 01 Distribution. Eden è un film intriso di filosofia e di vita, di teoria e di pratica, un racconto ispirato e poi sfrenato. Forse troppo sfrenato, a giudicare da come si dipana il racconto. Eppure si tratta di un film intrigante. Oltre che un film di menti è un film di corpi. Jude Law, Vanessa Kirby, Ana De Armas, Sydney Sweeney, sono un cast stellare per un film che forse brilla a metà.

Eden è la storia vera di un medico, Friedrich Ritter (Jude Law), che nel 1929 fuggì dalla Germania che si preparava al Nazismo. Abbandonò la civiltà per rifugiarsi alle Galapagos, in cerca di un’ideale pacifista e naturalista. La storia inizia bene, e Ritter viene esaltato dai giornali del tempo, che ne pubblicano le lettere, come un esempio. Ma l’arrivo sull’isola di altre persone, attratte dalla sua storia o dalla verginità dell’isola, complica terribilmente le cose. andò a finire malissimo, tra morti e sparizioni… Con Ritter, sull’isola, all’inizio c’è la moglie Dora (Vanessa Kirby). Poi arriva una coppia con un figlio (Daniel Bruhl e Sydney Sweeney). Ma è l’arrivo di un’inquietante e affascinante baronessa (Ana De Armas) che vuole fare dell’isola un resort a far tramontare il sogno.

Eden è una storia esplora i limiti oltre i quali siamo disposti a spingerci nella ricerca della felicità. Cita Nietzsche e Oscar Wilde, ma il discorso è ancora più complesso e affascinante. La chiave di tutto è quel ritorno allo stato di natura su cui tanti filosofi hanno scritto e discusso. E, dall’inizio alla fine del film, Eden sembra passare da una all’altra di queste teorie. All’inizio la visione dello stato di natura sembra essere quella di Rousseau, quella per cui in questa condizione gli uomini vivono liberi, sani, buoni e felici. Ma, man mano che procede il racconto, lo stato di natura sembra avvicinarsi sempre più a quello che era definito da Hobbes, uno stato di guerra permanente, quel bellum omnium contra omnes, dove ogni uomo è una belva per gli altri che ha accanto, homo homini lupus. Il buon selvaggio, che Ritter potrebbe essere, si conferma invece proprio un lupo, e i suoi compagni sull’isola non sono da meno.

È davvero un filosofo, in principio, il Dr. Ritter di Jude Law. Che non solo vive in quella condizione di libertà e contatto con la natura, ma la teorizza in un pamphlet che vuole essere una nuova guida per l’umanità. Un nuovo modo di vivere, di pensare, di agire. Il paradosso è che, mentre vuole convincere l’umanità che il suo futuro è nella natura, al tempo stesso non vuole nessuno nel suo spazio isolato. Proprio la filosofia ci ha insegnato che esistono teoria e pratica. E così, se la teoria funziona, la pratica mette a dura prova ogni scelta filosofica. La fame, la sete, le intemperie, la siccità, gli animali selvatici.

E così il nostro Dr. Ritter perde man mano la sua purezza. E perde anche la lucidità, la sua capacità di leggere la società. Le sue teorie perdono di forza, si sfaldano, il suo libro perde la forma e la sostanza. Da quella macchina da scrivere cominciano a uscire lettere degne di Jack Torrance. E così, con il suo protagonista, perde la lucidità anche Ron Howard. Il suo film, che parte molto bene, e si segue con interesse, nella seconda parte comincia ad alzare continuamente i giri del motore, ad accelerare, ad avvitarsi su se stesso, fino a finire in testacoda. Diventa un escalation di dispetti, ripicche e morti, come se non fossimo in un film che ha una sua base storica, ma in un moderno thriller e survival movie. Come se Eden fosse la versione spostata agli anni Venti di un Blink Twice o un Opus.

Restano i corpi degli attori. Il selvaggio di Jude Law è un personaggio che rimane impresso, così come l’altera e statuaria Dora di Vanessa Kirby. Sydney Sweeney è nel ruolo di un carattere che le è piuttosto congeniale, quello della giovane ingenua, che però nasconde una forza e un’astuzia che non ti aspetti. Se Daniel Bruhl è nel suo mondo, quello dell’uomo medio, Ana De Armas è nel suo ruolo naturale, quello dell’ammaliatrice, in cui si trova a proprio agio, ma che rende troppo marcato.

È curioso che, in una delle serie tv migliori di questo periodo, The Studio, ci sia un episodio strepitoso in cui una casa di produzione ha girato proprio un immaginario film di Ron Howard, perfetto in tutto se non fosse per quei 45 minuti finali, che non sono all’altezza. E nessuno riesce dire al regista che non vanno bene. è come se anche qui i produttori non fossero riusciti a dire ad Howard che l’ultima parte di Eden è eccessiva, farsesca, sbagliata nei toni e negli sviluppi per quello che aveva fatto vedere il film nella prima parte.

di Maurizio Ermisino

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