Che cos’hanno in comune The Air That I Breathe degli Hollies e Creep dei Radiohead con l’ebraismo e il cristianesimo? È il concetto di iterazione, o di reiterazione: la replica e ripetizione di modelli già esistenti. Secondo il sedicente Mr. Reed, il protagonista di Heretic, la canzone dei Radiohead sarebbe una reiterazione di quella degli Hollies (a noi non sembra, ma pare lo abbia stabilito un tribunale…). E il cristianesimo non sarebbe altro che una reiterazione dell’ebraismo. E, in realtà, di molte altre storie mitiche che si perdono nella notte dei tempi. Crede davvero in quello che dice o sta cercando solo di inserire delle crepe nella fede delle sue ospiti e destabilizzarle psicologicamente, oltre che terrorizzarle? Già da questi discorsi si può capire che Heretic, il nuovo film con Hugh Grant, Sophie Thatcher e Chloe East, scritto e diretto da Scott Beck e Bryan Woods, dal 27 febbraio al cinema, non è un horror come tutti gli altri.
Quando due giovani missionarie, Sorella Paxton (Chloe East) e Sorella Barnes (Sophie Thatcher), bussano alla porta sbagliata, il loro destino si lega a quello del signor Reed (Hugh Grant), un uomo tanto affascinante quanto spietato. Intrappolate in un gioco di inganni e terrore, dovranno affidarsi alla fede e all’astuzia, le uniche armi che potrebbero salvarle.
Inganni e terrore. Heretic è un classico horror, ma dentro il suo guscio di intrattenimento ha un cuore gustoso e amarognolo, quello di una riflessione sulle religioni e le loro implicazioni. La storia è davvero un classico dei film dell’orrore: quello delle persone che si trovano bloccate in una casa con una persona potenzialmente molto pericolosa. I topos narrativi del genere ci sono tutti: la casa isolata e lontana da tutto, le porte che improvvisamente si trovano chiuse, la luce che se ne va, il telefono che non prende, le altre persone che dovrebbero essere in casa ma non ci sono. Scegliere quale porta aprire tra le due. E poi la cantina dove si deve scendere. Ce lo aveva detto Wes Craven in Scream, ricordate? Mai scendere in cantina…
Le regole del genere, insomma, ci sono tutte. Ma conta anche il modo in cui la storia è raccontata. E anche da questo punto, per tutta la prima parte, la narrazione funziona. Merito di una regia riuscita, che gioca continuamente su primi e primissimi piani, passando da quello del padrone di casa a quello delle due giovani ospiti. I registi riescono a creare tensione anche facendo vedere la paura attraverso una goccia di sudore che scende sulle tempie di una delle ragazze. Grazie anche agli interni inquietanti – già dall’inizio, quando possiamo solo intuire, poi sempre di più man mano che ci addentriamo – della casa di Mr. Reed siamo trascinati in un’atmosfera claustrofobica.
Ma dentro questo schema, che funzionerebbe già di per sé, c’è un tema che aleggia per tutto il film: è un dibattito acceso sulla religione e sulle religioni. Mr. Reed, l’eretico del titolo, dimostra di aver studiato a fondo non solo il cristianesimo, ma anche il Libro dei Mormoni, la chiesa a cui fanno capo le due ragazze. E anche la Torah e il Corano, i fondamenti della religione ebraica e di quella islamica. Li ha studiati così tanto da essere in grado – o di credere di esserlo – di contestarle. Di criticare le religioni in sé, ma anche l’idea stessa di religione.
Così, dicevamo, Creep è un’iterazione di The Air That I Breathe, e a sua volta Get Free, di Lana Del Rey, è un’iterazione di Creep. E il cristianesimo e l’islamismo sono un’iterazione dell’ebraismo, secondo Reed. Ma allora perché la religione originaria ha meno adepti delle sue iterazioni? Il Mr. Reed di Hugh Grant argomenta a fondo la sua idea sulle religioni, aiutandosi con aspetti di cultura pop, dalle canzoni di cui sopra al gioco del Monopoli fino a Episodio I – La minaccia fantasma di Star Wars. Il gioco è intelligente, ironico e allo stesso tempo sadico. Perché così facendo i dialoghi ci interessano, ci divertono, ci distraggono, ma allo stesso tempo agiscono sulla mente delle ragazze, le disorientano, le agitano ancora di più e tutto questo ritorna a noi da spettatori. Hugh Grant è il grande mattatore: invecchiato bene, non è rimasto legato allo stereotipo del seduttore. E quel sorriso suadente in un attimo è diventato un ghigno inquietante. Anche le giovani attrici, Chloe East e Sophie Thatcher (la seconda anche cantante, la versione di Knockin’ On Heaven’s Door che chiude il film è cantata da lei), sono all’altezza e perfettamente in parte.
Se il finale, o comunque tutta la seconda parte del film, prova ad alzare il tiro e rompe quel perfetto equilibrio a tre che era la prima parte, chiedendoci anche una grande sospensione dell’incredulità (ma comunque siamo in un horror), quella di Heretic resta una sceneggiatura sopra alla media di molto del cinema horror di oggi. Alla fine la sfida è sempre tra fede e razionalità. Si può pensare che la religione sia solo un modo per esercitare il controllo, di dire agli altri cosa devono fare. Ma si può anche vederla in un altro modo: che Dio esita o no, vuol dire pensare agli altri invece che a se stessi. A voi la riflessione.
di Maurizio Ermisino
Questo slideshow richiede JavaScript.