“Voglio che lei, Captain America, mi aiuti a riformare gli Avengers. Il Paese ne ha bisogno”. È una frase pronunciata da Harrison Ford, nei panni di Thaddeus Ross, neoeletto presidente degli Stati Uniti d’America, in Captain America: Brave New World, il nuovo film Marvel in uscita il 12 febbraio, distribuito da The Walt Disney Company. L’America ha bisogno degli Avengers. E probabilmente ne ha bisogno anche la Marvel. Gli Avengers sono stati i protagonisti delle prime tre fasi del Marvel Cinematic Universe, quelle culminate con i film Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame. Raggiunto l’apice, le cose si sono sgonfiate: alcuni eroi, e alcune star, sono usciti di scena. Sono entrati eroi meno conosciuti e nuovi attori. Ma la presa sul pubblico è stata diversa. E i cinecomic – i Marvel, ma anche le altre storie di supereroi – hanno cominciato a perdere il loro fascino.
Ora, forse, si riparte. Captain America è alle prese con un complotto internazionale. Mentre gli Stati Uniti e il Giappone si contendono una nuova isola spuntata nel pacifico e il prezioso materiale contenuto in essa, l’adamantio, un attentato al Presidente USA, alla Casa Bianca, rischia di minare gli accordi tra i due Paesi. E anche il ritrovato accordo tra Captain America e il Presidente Ross.
Captain America ha un nuovo volto: non è più quello di Chris Evans, storico “Cap” dal 2011 (il suo personaggio ha lasciato la scena dopo Avengers: Endgame), ma è Anthony Mackie, che ha ereditato lo scudo dell’iconico eroe, promosso dopo essere già stato uno degli Avengers. Lo conosciamo come Sam Wilson, alias Falcon, supereroe alato già nei precedenti film e in una serie tv tutta sua, The Falcon And The Winter Soldier.
Quello di Captain America è un caso più unico che raro. Se è già capitato diverse volte che i vari supereroi cambiassero volto (pensiamo a Batman o Spider-Man), ma nell’economia di un reboot, cioè una storia che ricominciava dall’inizio, qui è la prima volta che un supereroe è oggetto di un avvicendamento nella continuità della storia: una volta che Steve Rogers ha abbandonato le scene, un altro eroe ha preso il suo posto, il suo “titolo”, la sua corazza, il suo scudo. Forse ha senso: se Iron Man è proprio l’emanazione di Tony Stark, e non può essere un altro, Captain America è un simbolo: ha bisogno di vivere ancora per dare speranza, anche attraverso altre incarnazioni. È anche vero, però, che vedere un ruolo iconico con un altro volto è straniante, almeno all’inizio.
Anthony Mackie, in ogni caso, fa il suo lavoro. A cambiare, con il personaggio di Sam Wilson al posto di Steve Rogers, è però il carattere dell’eroe: non è più un supersoldato, un personaggio indistruttibile con una forza e una resistenza fuori dal comune, ma un uomo normale, vulnerabile. Sam infatti non ha il siero che caratterizzava il Captain America originale (e altri personaggi che compaiono in questa storia), ma deve la sua forza all’addestramento al combattimento e ai materiali speciali della sua attrezzatura. In questo senso, è simile a Batman. O, per restare in ambito Marvel, ad Iron Man. Questo aspetto ci porta a uno dei temi del film. Che è l’idea di non sentirsi all’altezza del ruolo, di soffrire il confronto con il predecessore. Il fatto di chiedersi se, davvero, questo sia il posto adatto. È qualcosa di universale, qualcosa che ognuno di noi, anche senza grandi poteri e grandi responsabilità, può aver provato.
Anthony Mackie funziona, ha un volto empatico, una certa simpatia, il physique du rôle. Eppure il rischio è che, in un film come questo, gli possa rubare la scena un attore come Harrison Ford. È lui Thaddeus Ross, il neoeletto presidente degli Stati Uniti. Canuto, invecchiato, con quell’espressione grintosa tipica dei suoi personaggi, e il volto segnato da una storia intensa. E dalle molte preoccupazioni che il ruolo gli sta dando. Anche quando il volto, grazie alla performance capture, diventa quello di un personaggio digitale, la sua espressività è unica. La sua figura, quella di un presidente controverso, un presidente di cui non fidarsi, divisivo, oggi che siamo nell’era Trump, fa diventare automaticamente attuale un film che è stato scritto e girato da qualche anno. È questo che rende speciale un film tutto sommato normale.
Captain America: Brand New World, come tutti i film di Cap, si muove tra il war movie e il film di spionaggio, diventa un grande intrigo internazionale. In quei killer eterodiretti troviamo molto di The Manchurian Candidate. In certe sequenze diventa quasi Top Gun. Per poi citare anche King Kong prima del finale. È un buon film, ma non ha quell’aura di eccezionalità, di evento, che avevano i film Marvel prima del gran finale della saga degli Avengers. Dopo una fase 4 che, in questo senso, non ci ha detto molto, non si vede ancora quel collegamento tra le storie, quel vedere i film come tessere di un mosaico più grande che deve ancora comporsi. Ma si comincia a parlare di Avengers, e questo è un passo che ci porterà ancora una volta, finalmente, a un film collettivo. Ma quali Avengers troveremo? In questo senso, la scena post credit (aspettate la fine completa dei titoli di coda) fa pensare che ci sarà bisogno di loro. Ma non ci dice poi molto. Captain America: Brave New World può essere visto allora come un nuovo inizio per il Marvel Cinematic Universe. Sì, la Marvel ha bisogno degli Avengers.
di Maurizio Ermisino
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