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Babygirl: Nicole Kidman si mette a nudo, anima e corpo, in un film che fa riflettere

Babygirl: Nicole Kidman si mette a nudo, anima e corpo, in un film che fa riflettere

“Vieni (al cinema)”. La campagna di lancio di Babygirl, il film di Halina Reijn con Nicole Kidman, il 30 ottobre, è tutta su questo tono, gioca sui doppi sensi, e prova a lanciare quest’opera come un film piccante e pruriginoso. Una sorta di 50 sfumature di grigio, con uscita vicina a San Valentino. Giusto che il marketing faccia la sua parte. Ma è bene dire che il film, presentato a Venezia 81, dove Nicole Kidman ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, è qualcosa di diverso. Attenzione allora ad andarci con una certa idea, perché si rischia di essere delusi. Per chi cerca invece una riflessione sul femminile, Babygirl può essere interessante. È un film che parla di desiderio e di consenso, di libertà e di potere, di rapporti di forza tra i due sessi. Un discorso attuale, mascherato ad arte, già dalla stessa regista, nella confezione di certi thriller erotici degli anni Ottanta.

Romy (Nicole Kidman) ha una famiglia da spot pubblicitario, un marito (Antonio Banderas) sensibile – è un regista teatrale – e due figlie. Romy è il CEO di un’azienda big tech, una carica che poche donne riescono a raggiungere. Nella sua vita manca la passione, che con il marito non riesce più a ritrovare. Romy così la cerca nel nuovo stagista, Samuel (Harris Dickinson), e comincia una complicata relazione con lui.

Oggetto piuttosto complesso, almeno più di quello che sembra, Babygirl è un film da vedere prima di tutto per la grande prova di Nicole Kidman. A oltre sessant’anni, proprio come un’altra diva esplosa negli anni Novanta, la Demi Moore di The Substance, l’attrice australiana ci regala una grande prova. Ancora bellissima e sexy, il fisico slanciato e tonico, la presenza scenica magnetica, Nicole Kidman sembra aver rinunciato a quell’eterna giovinezza (nel film c’è una scena che allude anche a questo) che l’aveva relegata in una sorta di limbo, non più giovane ma nemmeno matura, per cui il rischio era di non trovare i ruoli giusti. Gli interventi estetici ci sono stati, ma ora sembrano essere meno evidenti, e sul viso qualche ruga suggerisce finalmente lo scorrere del tempo, le storie di una vita vissuta. Quelle rughe forniscono anche espressività, e credibilità. E una serie di ruoli finalmente adatti a una donna matura.

Se Demi Moore in The Substance ha trovato evidentemente delle risonanze tra la sua vita e la storia, chissà se e come le avrà trovate Nicole Kidman in quella di Babygirl. Il suo personaggio è una donna di successo, arrivata in cima alla sua carriera, qualcuno che ha sempre preso in mano la sua vita e quella degli altri, che ha sempre diretto e preso decisioni. E allora nella nuova relazione che instaura, per un bisogno più forte di lei, cerca il contrario: cedere il potere a qualcun altro. Ha bisogno di essere comandata, controllata. Anche umiliata.

È lei che ha comunque il controllo? È lei che dà il consenso ad essere trattata in un certo modo? Babygirl oscilla per tutta la sua durata su questo dubbio, facendoci interrogare su quanto e come Romy sia sopraffatta dalla relazione, o quanto questa sia una scelta e mantenga lei il volante. “Si dà e si prende potere”, sentiamo dire da Samuel nel film. Ma il consenso va prestato ogni volta: in ogni mossa, in ogni passo avanti l’altro deve essere consenziente. È questa una delle riflessioni che pone il film, secondo i tempi che stiamo vivendo.

L’altro tema del film, legato a questo, è quanto una donna oggi possa davvero essere al comando. Babygirl sembra suggerire che per una donna un ruolo di potere oggi sia ancora molto faticoso da sostenere. È come se Romy non possa essere in controllo sempre e comunque su tutto, e debba avere delle valvole di sfogo, dei momenti e dei rapporti in cui delega il comando ad altri, in cui si faccia dirigere e lasci i freni e la tensione che, al lavoro e in famiglia, le impongano di tenere la barra dritta sempre e su tutto. È come se debba in qualche modo uscire da se stessa, da quel ruolo di “brava persona” che la società, e in fondo la sua testa, le hanno imposto, per dare sfogo a delle fantasie che arrivano da qualche parte, forse dal suo passato. In fondo, tutto ruota intorno al concetto di libertà.

Come vedete, siamo lontani da film come 50 sfumature di grigio. I temi di Babygirl sono molto importanti. Anche se Halina Reijn gioca a mascherarli in un altro tipo di film, che in qualche modo ammicca al titolo di cui sopra, e anche a certi thriller erotici degli anni Ottanta. Ci viene in mente Attrazione fatale, ad esempio, quando Samuel in qualche modo irrompe nella casa e nella vita di Romy, causando un cortocircuito tra le due vite che sta vivendo. Il film prende un’altra direzione, ma sembra che la regista provi a scegliere una confezione per attrarci e poi darci il suo messaggio. Il finale, poi, è quello consolatorio di certi film un po’ rassicuranti e conformisti, e lascia a metà il lavoro di un film che avrebbe potuto osare di più, essere più coraggioso. Babygirl, insomma, sembra uno di quei film che vorrebbero accontentare tutti. E di solito questi film non sono mai completamente riusciti.

di Maurizio Ermisino

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