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A Complete Unknown: Timothée Chalamet è Bob Dylan, traditore per rimanere fedele a se stesso

A Complete Unknown: Timothée Chalamet è Bob Dylan, traditore per rimanere fedele a se stesso

“How does it feel, How does it feel. To be without a home, Like a complete unknown, Like a rolling stone?”. Viene da Like A Rolling Stone, una delle canzoni più famose dell’artista, il titolo di A Complete Unknown, il film di James Mangold su Bob Dylan, in uscita al cinema il 23 gennaio. A interpretare Dylan è Timothée Chalamet, la nuova star del cinema, che si cala con passione e grande cura nel ruolo, mentre Edward Norton è un empatico Pete Seeger e Monica Barbaro un’intrigante Joan Baez. Like A Rolling Stone avrà un ruolo chiave nel film: è il simbolo della svolta elettrica, del tradimento verso il folk e il suo pubblico che Dylan fece a Newport nel 1965. A Complete Unknown è questo: la parabola di un artista, la storia di un cambiamento, della voglia di non rimanere mai uguali. Quella che ha caratterizzato tutti i grandi artisti.

New York, primi anni Sessanta. Sullo sfondo di una vibrante scena musicale e di tumultuosi sconvolgimenti culturali, un enigmatico diciannovenne del Minnesota arriva nel West Village con la sua chitarra e un talento rivoluzionario, destinato a cambiare il corso della musica americana. Mentre stringe i suoi legami più profondi durante l’ascesa verso la fama, cresce la sua irrequietezza nei confronti del movimento folk e, rifiutando di essere etichettato, compie una scelta controversa che risuona culturalmente in tutto il mondo.

La cosa che si nota prima di tutto, guardando A Complete Unknown, è che vive di una costruzione accurata. Il West Village ha conservato qualcosa del suo essere fuori dal tempo ancora oggi, eppure è chiaro come i luoghi cambino. James Mangold è un regista molto bravo in questo senso. E aveva già raccontato la storia di un altro grande della musica, Johnny Cash in Quando l’amore brucia l’anima – Walk The Line. Qui è molto attento a ricostruire la New York e il Village degli anni Sessanta, la scena folk. Come nel film su Cash (la cui storia si incrocia con quella di Dylan) si concentra sui rapporti umani e sui sentimenti. L’amore con Suze Rotolo, la famosa ragazza sulla copertina dell’album The Freewheelin’ Bob Dylan che qui diventa Sylvie Russo, interpretata da Elle Fanning. E quello con Joan Baez, interpretata da un’intrigante Monica Barbaro. Ma anche le relazioni con i suoi mentori: il suo idolo Woody Guthrie, malato e in ospedale, e la sua guida Pete Seeger (Edward Norton).

Timothée Chalamet ha i capelli ricci e arruffati, più corti di quelli con cui siamo abituati a vederlo. In testa ha un cappellaccio di velluto, come la giacca. È troppo bello per essere il giovane, impacciato, Bob Dylan. Così come sono troppo belle anche Elle Fanning e Monica Barbaro. Ma il cinema è anche questo. Gli attori si muovono in uno scenario in cui è affascinante calarsi. Sono gli anni in cui si suona nei bar del Village, il Folk City, il Gaslight. Si fa girare un cestino in cui il pubblico mette i soldi, ci si sposta da un bar all’altro. Si condividono il palco e le canzoni. Si condividono, soprattutto, gli ideali: la pace, la non violenza, la lotta alle discriminazioni razziali e alla guerra. Canzoni come Blowin’ In The Wind, Masters Of War, The Times They Are A-Changin’ sono questo.

La ricostruzione storica è perfetta, dicevamo. Le interpretazioni sono ottime. Guardando A Complete Unknown, però, si ha sempre la sensazione di vedere un film e non di essere nel cuore delle cose. Capisci subito che stai guardando Timothée Chalamet che interpreta Bob Dylan. Quando guardavi Val Kilmer in The Doors credevi davvero di vedere Jim Morrison e di essere sul Sunset Strip di Los Angeles alla fine dei Sixties. Quando guardavi Sam Riley in Control credevi davvero di essere davanti a Ian Curtis dei Joy Division nella Manchester di fine anni Settanta. La prova dell’attore protagonista, in ogni caso, è buona.

A Complete Unknown, per fortuna, sceglie di non raccontare tutta la storia di Bob Dylan, ma uno scorcio, la prima parte, dalla nascita dell’artista fino alla famosa svolta elettrica del 1965. Questa scelta permette di raccontare un tempo preciso, di concentrarsi su un aspetto. Pur senza raccontare tutta la sua vita, il film di Mangold mostra gli albori di quell’irrequietezza che ha portato Dylan a cambiare continuamente, quel suo non essere mai accondiscendente, convenzionale. Si tratta però di un film che non ha molti guizzi a livello di regia, e in cui le immagini non riescono a replicare a loro modo la genialità di Dylan. Come aveva fatto Io non sono qui, di Todd Haynes, che per raccontare tutte le svolte, le anime e le sfaccettature di Bob Dylan aveva impiegato sei attori diversi. Questo è un biopic diverso, di quelli che si fanno oggi: molto puliti, molto convenzionali, molto corretti. Rispetto agli altri film usciti da Bohemian Rhapsody in poi, però, questo ha finalmente una storia diversa, e non è basato sullo schema ascesa-caduta-risalita e sulla lotta contro i propri fantasmi e le proprie dipendenze. Bob Dylan è differente.

È anche un film sulla voglia di cambiare, “Vogliono che canti Blowin’ In The Wind da solo per tutta la vita” dice a un certo punto il Bob Dylan del film. È il Bob Dylan che imbraccia la chitarra elettrica, come se fosse un’arma, per diventare finalmente libero e non compiacere il pubblico, quello della famosa svolta rock, del “tradimento” al Festival Folk di Newport. Il pubblico aspettava le sue canzoni voce e chitarra acustica. Ma lui era già oltre. Aveva registrato le canzoni dell’album Highway 61 Revisited, aveva scritto Like A Rolling Stone, e voleva cantare quelle canzoni. Il pubblico lo rifiutò. Bob Dylan aveva tradito il pubblico per non tradire se stesso. Ed era diventato uno dei più grandi.

E Bob Dylan avrebbe fatto così per tutta la vita. I suoi concerti sono famosi per la sua ritrosia a cantare le sue canzoni più famose. E per l’abitudine, quando decide di cantarle, di stravolgerle. In un’epoca in cui, sempre di più, ogni artista cerca di compiacere il pubblico, Bob Dylan rimane una mosca bianca, un pezzo raro. Il momento in cui comincia a provare suoni nuovi, già vestito e sicuro di sé come una rockstar, rappresenta un crescendo nel film. Lo guardi sapendo che arriveranno dei capolavori, che arriverà altra grande musica. Sei felice per un artista che ha saputo rendersi libero. In quel Festival di Newport, nel film, lo vediamo chiamare a gran voce, dopo aver sconvolto tutti con il suo set elettrico. È qui, voce e chitarra, ma non canta un suo classico. Canta una delle canzoni più nuove, It’s All Over Now Baby Blue. “Laggiù c’è il tuo orfano con la sua pistola, piangendo come un fuoco al sole. Guarda tutti i santi stanno passando. Ed è tutto finito ora, baby blue”. Sembra quasi un addio al folk, alla vecchia musica, al vecchio Bob Dylan. Un nuovo Bob Dylan era già nato.

di Maurizio Ermisino

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