“Ciò che facciamo in vita riecheggia per l’eternità”. Era questa una delle frasi storiche che sono rimaste, come scolpite nella pietra, de Il Gladiatore, il film di Ridley Scott che il tempo ha decretato essere un cult. Che un film di quel tipo potesse avere un sequel sembrava un’opzione impossibile, eppure Ridley Scott, uno che ha fatto più volte la Storia del cinema, può tutto. Da tempo avevamo capito che Il Gladiatore II era realtà. E, con qualche patema dovuto allo sciopero degli attori e degli sceneggiatori, è finalmente tra noi: arriva al cinema il 14 novembre. È un film che va visto in sala, ed è probabilmente uno di quei film capaci di attirare il grande pubblico al cinema. Il tifo per dei grandi incassi, ovviamente, lo facciamo tutti.
La storia de Il Gladiatore II parte molti anni dopo e da posti lontani. Annone (Paul Mescal), durante la guerra per la conquista della Numidia, viene sconfitto dai romani e reso schiavo, portato a Roma e mandato a combattere nell’arena con gli altri gladiatori. “Nell’arena da schiavi si diventa gladiatori, e da gladiatori uomini liberi. Acacio (Pedro Pascal) il generale della vittoriosa campagna di Numidia, è colui che lo ha catturato. Ed è anche il marito di Augusta Lucilla (Connie Nielsen), figlia di Marco Aurelio.
Non c’è più Massimo Decimo Meridio. Ma Paul Mescal, nel ruolo di Annone, ha una grande presenza scenica. Ha gli occhi blu di Russell Crowe, pieni di umanità dietro la rabbia e la fierezza. Sono incastonati in un volto roccioso e spigoloso. Pascal ha nei suoi occhi l’espressione della giustizia e della maturità. Di fronte a loro, vera anima nera del film, c’è Denzel Washington, che è il mercante di gladiatori: barba e capelli grigi, il sorriso beffardo e suadente, è un uomo ricoperto d’oro e gioielli da capo a piedi. È una presenza indubbiamente carismatica. Così come lo è Connie Nielsen: vent’anni dopo è ancora bellissima, imponente, statuaria, regale.
È lei il collegamento con il primo film. E sarà legato a lei uno snodo nella storia, una rivelazione sulle relazioni che legano i personaggi. Ridley Scott così riesce a collegare in modo tutto sommato credibile i due film. Russell Crowe appare in alcuni flashback, poche scene essenziali per la trama. E in alcune citazioni: quel modo di sollevare la terra per creare del fumo, come strategia di combattimento, quell’armatura con i due cavalli, il gladio di Massimo Decimo Meridio. E, ovviamente, la famosa musica.
Ridley Scott evoca una Roma immaginaria, senza pretese di verità storica, puntando a stupire, a viaggiare con la fantasia. Là dove c’erano le tigri, ci sono delle inedite scimmie combattenti, rinoceronti corazzati e… squali! C’è un grande esercizio di sospensione dell’incredulità, ma, lo abbiamo detto subito, l’intenzione di Scott è fare un grande spettacolo.
Ne Il Gladiatore II si parla di un “sogno romano”, quello che aveva in mente Marco Aurelio, che voleva restituire il potere al Senato e al Popolo. Si parla di una terra che torni ad essere quella in cui una legge protegga tutti, che non sia in balia di dittatori e persone che pensano solo al potere. “Una città per tutti e un rifugio per chi ha bisogno” chiede Annone alla fine del film. E sembra davvero chiaro il riferimento al “sogno americano” che oggi pare morto, portando con sé in realtà i sogni di tutto l’Occidente. A una terra in cui la legge giusta, le pari opportunità, il rifugio oggi sembrano non essere per tutti.
di Maurizio Ermisino