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Fino alla fine: Gabriele Muccino e il suo film adrenalinico al femminile

Fino alla fine: Gabriele Muccino e il suo film adrenalinico al femminile

Tutto si può dire di Gabriele Muccino, tranne che sia un tipo che ama sedersi sugli allori. Il regista de L’ultimo bacio e Ricordati di me torna ora con Fino alla fine, che è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma ed è in uscita al cinema il 31 ottobre. È un film completamente diverso dagli altri, ed è liberamente ispirato a un film tedesco, Victoria di Sebastian Schipper. Fino alla fine rimane a metà tra un romanzo di formazione e un thriller. È un film con un’energia potenziale di pericolo pronta ad esplodere da un momento all’altro. Sul modello del classico Fuori orario di Martin Scorsese, Fino alla fine è uno di quei film che si svolgono durante una lunga nottata. Il risultato è un film adrenalinico, ansiogeno. E molto godibile: non si può dire che non tenga incollati alla poltrona.

Ma qual è la storia di Fino alla fine? Sophie (Elena Kampouros) è una giovane americana di vent’anni in vacanza a Palermo con la sorella. Quando sta per tornare in California, nelle ultime 24 ore del suo soggiorno in Sicilia, incontra Giulio (Saul Nanni) e il suo gruppo di amici. Saranno proprio queste 24 ore a cambiare per sempre il corso della sua vita. Sophie scoprirà che la vita è fatta di scelte e quelle che farà la porteranno a camminare sull’orlo del baratro, trasformando una semplice storia d’amore in una di sopravvivenza, riscatto e pura adrenalina. Questo gruppo di ventenni, ancora inesperti nel maneggiare la vita, scopriranno quanto sia facile commettere errori.

Fa salto nel vuoto, insieme al suo Giulio, un tuffo da uno scoglio verso il mare, Sophie. Vuol dire avere voglia di lanciarsi senza paura verso l’ignoto. È proprio questo uno dei temi di un film che ci parla di scelte e conseguenze, e di libertà nel vivere la propria vita. Ma in quel salto c’è tutta la voglia, l’entusiasmo e la forza dell’età giovane. È quella che avevano i protagonisti di Come te nessuno mai e L’ultimo bacio. Per un attimo sembra di vedere quei ragazzi, in cui Muccino si riconosceva. E un’età che forse ora rimpiange.

Con Fino alla fine Muccino trova la sua eroina, per la prima volta una donna. Se ne innamora, ovviamente in maniera cinematografica, e la segue lungo questa avventura, portando per lei un occhio di riguardo rispetto agli altri personaggi. Forse un po’ ci si riconosce, ci ritrova se stesso da giovane, energico ed entusiasta. Forse vorrebbe essere come lei.

Elena Kampouris, attrice americana di origine greca, interpreta Sophie con slancio ed emotività. È così bella che attira su di sé la luce e tutta l’attenzione. Recita con tutto il corpo, muovendosi nello spazio e in rapporto agli altri attori. È un po’ acerba, inevitabilmente, in alcuni passaggi della recitazione, soprattutto perché recita spesso in italiano, una lingua non sua. Ma sa essere intensa nei momenti decisivi.

Come i suoi protagonisti, giovani e sfrontati, anche il film è vitale ed energico. Lo è la macchina da presa, mobilissima, sempre nel centro dell’azione. Spesso è una macchina a mano. A tratti ci ricorda proprio quell’energia e quel continuo stato di agitazione del primo Muccino. Che qui abbandona i romanzi familiari dei suoi ultimi film, A casa tutti bene e Gli anni più belli, abbandona i suoi attori feticcio di tanti film, per fare qualcosa di completamente diverso.

Certo, Fino alla fine è uno di quei film in cui si tratta di sospendere l’incredulità, in cui ti trovi a dire “ma questa cosa non sta in piedi”. Ma in fondo la sospensione dell’incredulità non è qualcosa che facciamo sempre quando andiamo al cinema? Questa è anche una di quelle storie in cui la protagonista comincia a fare, a ogni scelta, quella più sbagliata possibile, a ficcarsi da sola in ogni guaio possibile. E allora ti viene voglia di odiarla, ma parteggi comunque per lei. Anche perché finisci per conoscerla, per capire: grazie a un pianoforte arriva, tramite un dialogo e non un flasbhack, la sua backstory. E qualcosa di lei ti è più chiaro.

È interessante che, da artista ormai affermato, Gabriele Muccino guardi contemporaneamente al futuro e al passato. Al futuro perché Fino alla fine, per lui, è un genere completamente nuovo, un totale cambio di prospettiva. Al passato perché recupera molta della vitalità dei suoi primi film, ansiogeni e agitati, senza un attimo di respiro.

di Maurizio Ermisino

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