Chi è davvero Joker? Se avete visto il primo film di Todd Phillips saprete che, in questo nuovo racconto che reinventa l’arcinemico di Batman e lo fa vedere sotto una nuova luce, Joker si chiama Arthur Fleck, ha lo sguardo affebbrato e il volto emaciato di Joaquin Phoenix, ed è un uomo solo e disperato. Dopo aver visto il seguito di quel film, Joker: Folie À Deux, presentato al Festival di Venezia e dal 2 ottobre al cinema, ci è venuta in mente un’altra idea. Joker, o Arthur Fleck, in realtà è lo stesso Todd Phillips, il regista e sceneggiatore che con il primo film aveva tentato un azzardo, facendo centro, e qui compie un azzardo ancora maggiore. La storia di Arthur Fleck in questo nuovo film è quella dello stesso Phillips alle prese la creazione del film stesso.
Ma qual è la storia di Joker: Folie À Deux? Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) è recluso nel manicomio di Arkham in attesa di essere processato per i crimini commessi come Joker. Mentre lotta con la sua doppia identità, Arthur non solo scopre il vero amore, ma trova anche la musica che ha sempre avuto dentro di sé. Il sequel di Joker dunque diventa un musical vero e proprio, un musical classico in cui i personaggi passano dalla recitazione al canto e viceversa senza soluzione di continuità.
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Ma fate attenzione. La chiave è tutta in Arthur e in quello che gli altri vogliono da lui. I secondini, gli addetti al carcere, i media, la gente che lo attende fuori e ne ha fatto un simbolo della rivolta contro il sistema: tutti vogliono Joker. Vogliono le sue barzellette, vogliono il volto truccato, la sua risata, la follia. Vogliono che Arthur sia Joker anche l’avvocato e la psicologa, per giocarsi l’infermità mentale al processo. Ma chi sono tutte queste persone? Sono il suo pubblico. Ma è quello che è accaduto a Todd Philips dopo il sorprendente successo del primo film. Tutti – il pubblico, i produttori, gli addetti ai lavori – hanno amato quel film e gli hanno chiesto di rifare Joker. È la stessa cosa: tutti vogliono Joker.
Ma Arthur Fleck di Joker non ne vuole sapere. Vuole essere se stesso, vuole parlare di sé, non vuole raccontare le barzellette. Anche l’amore, per lui, è fuggire dalla solitudine e dalla depressione, da tutto quello che lo aveva portato a uccidere ed essere Joker. E così Todd Phillips dà al pubblico quello che vuole, un nuovo film su Joker. Ma in fondo del pubblico si fa beffe, dandogli qualcosa che non è quello che si aspetta. Come Arthur, Phillips nei panni del Joker non ci si sente più. E allora racconta proprio questo, il voler fuggire dalle etichette, dagli steccati, dagli stereotipi. Arthur Fleck non è Joker, è solo Arthur. E Joker: Folie À Deux non è Joker 2.
E così, nel nuovo film, ogni scelta è quella di un folle. Todd Phillips si muove come il suo protagonista, come una scheggia impazzita, facendo continuamente il contrario di quello che ci si aspetta. Già il primo Joker era un finto cinecomic, un film drammatico calato nel mondo di Taxi Driver e Re per una notta di Scorsese. Qui è ancora altro: un musical ipertrofico con un affastellarsi di numeri canori e danzanti uno dietro l’altro, distribuiti sul racconto senza un’apparente logica, se non quella generica del sogno e dell’evasione. È un film su un villain dei fumetti (anzi due) in cui non ci sono delitti, o quasi, non c’è azione. Non c’è nemmeno Batman, o alcun riferimento a lui, com’era nel primo film. E, in fondo, non c’è nemmeno la Harley Quinn di Lady Gaga, presente nei numeri canori, nelle scene d’amore, ma in fondo mai sviluppata appieno per quello che poteva essere il personaggio.
Todd Philips sceglie di ambientare Joker: Folie À Deux per metà in un manicomio – e l’ambientazione funziona – e per metà in un’aula di tribunale, per il processo, ma senza mai creare la tensione che deve avere un legal thriller. Anche il possibile discorso sui media e l’emulazione di Joker che avviene all’esterno è in fondo solo accennata e sfruttata male. Il finale chiude le porte a ogni possibile Joker 3, e ribadisce quello che andiamo dicendo. Con questo film Todd Philips ha voluto dirci quello che ci vuole far capire Arthur Fleck: non sono Joker. E non voglio più esserlo.
di Maurizio Ermisino
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