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Never Let Go – A un passo dal male: Halle Berry in una fiaba horror

Never Let Go – A un passo dal male: Halle Berry in una fiaba horror

Chi erano Hansel e Gretel? Erano i protagonisti di una famosa fiaba dei Fratelli Grimm. Un bambino e una bambina che il padre non poteva più sfamare, tanto da decidere di abbandonarli nel bosco. C’è molto di Hansel e Gretel, e non solo perché a un certo punto del film viene letta la fiaba, in Never Let Go – A un passo dal male, il nuovo film di Alexandre Aja, con Halle Berry, dai produttori di Stranger Things. C’è il senso della fiaba, quella sensazione mista di fame, paura e disperazione che è sempre stata alla base di questo tipo di racconti, insieme all’immaginazione e alla fantasia.

Al centro della storia ci sono una madre, June (Halle Berry) e i suoi due figli, Samuel e Nolan, gemelli, anche se uno dice di essere il più grande, e lo è di pochi minuti. Vivono in una casa di legno, fatiscente ma accogliente e protettiva, lontano da tutto, nei pressi di un bosco. Sono solo loro tre e, a quanto dice la mamma, sono gli ultimi tre al mondo. Là fuori c’è il Male, qualcosa di cattivo e mortale. L’unico modo per evitarlo, per scampare il pericolo, è restare legati a quella magica casa di legno, grazie a delle corde lunghe e robuste. Restare legati vuol dire essere salvi.

Ma è come essere un cane legato alla catena. Ci si può muovere, ma per quanto le corde possano essere lunghe, a un certo punto si tendono. E così non si può andare oltre. June e i suoi bambini vivono di caccia, si cibano con quello che trovano. Ma, con quelle corde, non ci si può spingere oltre un certo punto per cacciare. E, quando arriva l’inverno, gli animali spariscono, le provviste non ci sono più, e il rischio è morire di fame.

Never Let Go viaggia su vari livelli di paura. Quella, più astratta ed evocata, di un generico Male che, fino alla fine (e forse oltre) non capiamo cosa sia. Quella, più concreta, dell’isolamento e della possibilità reale di morire di fame. Una è collegata all’altra, per scampare un pericolo si incorre in un altro. Come abbiamo detto all’inizio, Never Let Go è un po’ una fiaba, un po’ un horror – ma sul sottogenere si può discutere – un po’ un racconto morale. Si muove tra Stranger Things, A Quiet Place (la frase di lancio “stare in silenzio non ti salverà” fa riferimento proprio a quel film) e lo Shyamalan di The Village. Con un colpo di scena davvero degno di questo nome a un’ora dall’inizio del film.

È anche un racconto che si presta ad essere interpretato come una metafora o un’allegoria. Da un lato possiamo interpretare quelle corde con cui June tiene i suoi bambini legati a sé e alla casa come la paura di una madre di lasciar andare i propri figli, di averli lontano da sé. La corda è allora il simbolo di quel legame ideale che per un genitore esisterà sempre e che i figli, a un certo punto, devono spezzare. Dall’altro, possiamo considerare quel Male che è in agguato fuori dalla porta come una metafora dei traumi del passato e dell’impossibilità di superarli. Quel male che è fuori, ma anche dentro di noi, latente, pronto a tornare, può essere una dipendenza, una famiglia tossica e disfunzionale, una tara come una malattia psichiatrica.

In questo senso fino alla fine della storia siamo portati a dubitare di quello che accade. Viviamo la deriva della percezione della protagonista, che conosce il Male, lo vede, ed è lei che ne parla ai figli, che non riescono (ancora?) a vederlo. Alexandre Aja ci tiene sulla corda e ci fa credere di volta in volta a cose diverse tra loro: quello a cui assistiamo è reale, poi non lo è. Poi lo è di nuovo. O forse no. Fino al sottofinale (forse troppo esplicito e carico per quella che era stata l’impostazione del film) continuiamo a dubitare di quello che stiamo vedendo.

Never Let Go, che vede in scena una Halle Berry convincente, che prova a mascherare la propria bellezza con occhiaie, un volto emaciato e capelli arruffati, è un film di Alexandre Aja, maestro dell’horror che rifece il cult Le colline hanno gli occhi. Del suo cinema ritroviamo lo sguardo malato, malsano, una follia latente sempre sul punto di esplodere e la voglia costante di spiazzare. Il suo cinema horror è mitigato però dalla struttura di fiaba che connota tutto il racconto. Never Let Go è anche un film dai produttori di Stranger Things, che stavolta lasciano fuori dalla confezione tutto il pop, mantenendo però quel contrasto tra luce e ombra, tra nero e bagliori di rosso, quel dialogo tra due dimensioni. Se in Stranger Things è sopra e sotto, qui è dentro e fuori. Anche in Never Let Go al centro ci sono una casa, una madre e due figli. Ma sono solo dettagli. Never Let Go è un’altra storia.

di Maurizio Ermisino

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