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The Crow – Il Corvo: Il sequel del film cult è troppo enfatico. Ma Bill Skarsgård ha il volto giusto

The Crow – Il Corvo: Il sequel del film cult è troppo enfatico. Ma Bill Skarsgård ha il volto giusto

Quando qualcuno a te caro muore capisci cos’è il vuoto”. Inizia con queste parole The Crow – Il Corvo, il nuovo film tratto dalla graphic novel di James O’Barr e remake del cult del 1994 di Alex Proyas con Brandon Lee. È una storia che parla di morte, quella de Il Corvo. E in quel film del 1994 finzione e realtà si erano mescolati tragicamente. La morte aveva davvero raggiunto l’attore protagonista, Brandon Lee, colpito sul set dal colpo di una pistola che doveva essere a salve e non lo era. L’aura romantica, e maledetta di quel film, si deve anche a questo. Oltre che al fascino di un attore come Lee, bellissimo e ormai perduto per sempre, davvero e non nella finzione. Avvicinarsi a un film come The Crow – Il Corvo significa sapere tutto questo, e che l’insieme di eventi che aveva dato vita a quel film è irripetibile. Il nuovo Corvo non potrà mai essere come il primo. Ma lo abbiamo visto, e allora proviamo a capire com’è.

Nella prima scena del film vediamo Eric, un ragazzino assistere alla morte di un bellissimo cavallo bianco, intrappolato in un filo spinato, e provare a salvarlo, procurandosi delle ferite alla mano. Da quell’episodio verrà segnato. Lo ritroviamo infatti in un istituto di riabilitazione, dove si trova per comportamenti autodistruttivi e dipendenze. È qui che incontra Shelly, una ragazza fragile che sembra avere i suoi stessi problemi. Ma anche qualche problema più grande: nasconde infatti un segreto. E qualcuno sta venendo a prenderla.

Non c’è più Brandon Lee, dunque, in quel ruolo che lo ha reso immortale. C’è Bill Skarsgård, che in molti ricorderanno come il clown di It. Ed è proprio lui, nella marcata differenza da Lee, la cosa migliore del film. Ha il volto di un bambino, un volto pulito che qui è sporcato da alcuni tatuaggi, due occhi grandi e liquidi che possono contenere molte cose: dolore, sconforto, delusione, odio. Ed è perfetto perché il suo Eric è un bambino mai cresciuto, è ancora quel ragazzino che tentava di salvare quel cavallo. Ma è un volto che può virare verso la smorfia, come quella di un clown malefico, come in It o come in quello che è il nuovo look del Corvo, con lacrime nere a contornare quegli occhi liquidi che si possono riempire di odio e morte. Il suo corvo è un clown nero, quindi, un angelo della morte. Anche la voce, in lingua originale, è sottile, rotta, e serve a sottolineare la fragilità del personaggio.

Accanto a lui, nel ruolo di Shelly, c’è FKA Twigs, cantante pop prestata al cinema. Si vede, perché è piuttosto acerba, ma accanto al protagonista funziona: anche lei ha uno sguardo liquido, languido. Ha la pelle ambrata e le lentiggini, e un’enorme bocca a cuore. Un volto in cui tutto è grande, tutto buca lo schermo, a dispetto del fisico minuto e fragile. Skarsgård, FKA Twigs e il veterano Danny Huston sono tra le cose migliori del film e di un cast che, al contrario dei protagonisti, non sembra molto azzeccato, ricco di volti insipidi o, al contrario, che rischiano di andare in overacting, anche probabilmente mal diretti.

Il look di Eric, piuttosto contestato appena apparse le prime immagini, sembra quello di un trapper. E così ci si aspettava un mondo di questo tipo. La musica del film, invece, si avvicina a quelle che erano le atmosfere del primo album. C’è molta new wave a dettare la linea, con i Joy Division (Disorder) e Gary Numan su tutti, ma dal punto di vista musicale non delude.

Il problema di The Crow – Il Corvo è che tutto, in questo racconto, è troppo carico, enfatico, effettato. Del film originale ci piaceva anche la sua semplicità, quel suo essere un B Movie secco, serrato e a tinte dark. Era un film di poche parole, da buon B Movie. Qui invece tutto viene spiegato per filo e per segno, tutto viene esplicitato (vedi le ferite che, dati i poteri di Eric, si richiudono e guariscono da sole). Ci sono tantissimi ralenti, tantissime sequenze nell’acqua, dove il primo film era soprattutto terra e fuoco.

Ma, soprattutto, il problema è che si inserisce una bella storia come quella de Il Corvo in un nuovo racconto che è inutilmente complicato, ridondante, con un andirivieni sfiancante tra le varie dimensioni. The Crow è anche un film indeciso sul da farsi. Perché inizia quasi come un film romantico, tra Twilight e After (fatte ovviamente le debite proporzioni), poi sembra diventare un horror paranormale, per svoltare, nel terzo atto, in un grand guignol. Che, però, nella carneficina finale al Teatro dell’Opera assume tratti quasi grotteschi. Una cosa che stride con il tono del film.

di Maurizio Ermisino

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