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Bad Boys: Ride Or Die: Will Smith e Martin Lawrence tornano in un revival anni Novanta, ma fuori tempo massimo

Bad Boys: Ride Or Die: Will Smith e Martin Lawrence tornano in un revival anni Novanta, ma fuori tempo massimo

“Bad Boys, Bad Boys whatcha gonna do?”. Tornano i Bad Boys di Will Smith e Martin Lawrence e torna anche la famosa canzone. Ma, a un certo punto del film, è sussurrata, quasi parlata. È un momento che dovrebbe essere commovente. Ma, in realtà, sembra quasi volerci dire che l’epopea dei Bad Boys, action movie lanciato negli anni Novanta, arrivato al quarto capitolo, comincia a mostrare un po’ di stanchezza.  Bad Boys: Ride or Die, il nuovo capitolo della saga action-comedy con Will Smith e Martin Lawrence, è al cinema da giovedì 13 giugno, prodotto da Sony Pictures e distribuito da Eagle Pictures. Il revival anni Novanta, in tanti campi, è una delle tendenze già da qualche anno. Ma non sempre funziona.

I “Bad Boys” Mike e Marcus tornano in scena: Mike (Will Smith) sta per sposarsi e Marcus (Martin Lawrence) è il suo testimone di nozze. Un complotto ordito alle loro spalle, però, cambia le carte in tavola: i due poliziotti di Miami diventano i ricercati. E tutto diventa più difficile. La trama è semplice, ma in fondo non è questo ciò che conta. I film della saga Bad Boys sono sempre stati amati per come sono riusciti a riunire, molto prima di altri, azione e commedia, un mix di generi che oggi funziona molto, e che ci lascia sempre stupiti quando riesce. Will Smith, negli anni Novanta, è stato un simbolo di questa contaminazione: in fondo era action comedy anche Men In Black. E anche Indipendence Day, che aveva tutt’altro tono, aveva un momento di questo tipo quando Smith prendeva a pugni l’alieno.

Bad Boys: Ride Or Die, come i suoi predecessori, è in fondo un buddy movie. Senza scomodare le coppie storiche di questo genere, Will Smith e Martin Lawrence hanno sempre funzionato perché ben assortiti: il primo è quello affascinante e aitante, ma, come detto, è anche molto incline alla commedia. È la prima volta che lo vediamo dopo il “fattaccio” del pugno a Chris Rock alla notte degli Oscar, ma quell’episodio, a prima vista, non sembra averne scalfito l’appeal e l’immagine. Lawrence è quello più buffo, il guitto, l’aiutante, la parte comica. Ma, quando si tratta di fare azione, sa il fatto suo. La chimica tra i due, l’affiatamento, i tempi comici, funzionano ancora e qualche gag assicura qualche sorriso.

Quello che funziona meno è – oltre alla trama – l’azione, che è fatta di tante scene, lunghe, insistite, ripetitive. I colori sono accesi, ipersaturi, la macchina da presa è fin troppo mobile. L’impressione è che i registi – Adil e Bilall, quelli di Bad Boys for Life – puntino fin troppo a ricreare un’estetica da videogame, creando movimento e spettacolo, ma anche quel tocco di irrealtà che non ci permette di entrare completamente nel film, di accettarlo come qualcosa di credibile. La sensazione è confermata quando, nella lunga scena d’azione finale, le riprese diventano in soggettiva, con la pistola in primo piano sotto gli occhi, come nei classici videogame FPS, cioè First Person Shooter (o sparatutto in prima persona). Sequenze che sono suggestive, ma che non sono nulla di nuovo. Le avevano già fatte nella versione cinematografica di Doom, ed erano quasi vent’anni fa. E almeno quel film era tratto da un videogioco per cui la scelta era una citazione. E da quel momento chissà quanti film lo hanno fatto.

Questa scelta potrebbe essere il sintomo di una tendenza che, a sentir dire gli esperti, sia prossima o ormai già in atto: il fatto che Hollywood voglia lanciarsi nel mondo dei videogiochi, un potenziale mercato amplissimo che, probabilmente, già oggi vale di più di quello del cinema. E che, soprattutto, attrae le nuove generazioni. Non sappiamo ancora dirvi a cosa porterà questa tendenza. Ma per ora questo film videogame è a tratti noioso.

Sequenze da videogame a parte, in Bad Boys: Ride Or Die, ci sembra che la regia sia fin troppo presente, cosa che non servirebbe quando si hanno due attori protagonisti come Will Smith e Martin Lawrence. Guardate la scena in cui Marcus ha un infarto: la regia riesce a creare un viaggio immaginifico in altri mondi che, alla fine, diventa stucchevole. Come si dice: anche meno.

C’è poi un altro aspetto. Vedere che i personaggi di Mike e Marcus, nel film, hanno due figli grandi che menano più di loro, fa venire in mente che siamo diventati vecchi. Sarà per questo che il film ci lascia un po’ perplessi? In ogni caso il gioco sembra mostrare la corda. È un revival anni Novanta che arriva un po’ fuori tempo massimo. Ma ai nostri cattivi ragazzi, in ogni caso, continuiamo a voler bene.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

 

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