“Le cose sono molto reali qui. È come se non ci fosse immaginazione o sentimentalismo”. Eileen parla di Boston, Massachussets, anzi dei sobborghi della città, un luogo opprimente che sembra tarpare le ali a chiunque e rendere impossibile qualsiasi sogno. È in questo mondo che prende vita Eileen, il film di William Oldroyd con Thomasin McKenzie e Anne Hathaway tratto dal romanzo omonimo di Ottessa Moshfegh. Eileen racconta l’incontro tra due donne sole che provano in qualche modo a sfuggire da quel mondo senza immaginazione.
Nella Boston degli anni Sessanta la giovane Eileen (Thomasin McKenzie) conduce una vita monotona lavorando come segretaria in un riformatorio minorile e prendendosi cura di Jim, il padre alcolista (Shea Whigham). Le cose cambiano con l’arrivo di Rebecca (Anne Hathaway), la nuova psicologa del carcere. Brillante e disinvolta, Rebecca esercita un fascino magnetico su Eileen, che rimane immediatamente attratta dalla sua eleganza. La loro amicizia prende però una piega pericolosa quando Rebecca le rivela un oscuro segreto.
Eileen è uno di quei film che sembrano una cosa e a un certo punto diventano un’altra, forse un po’ troppo bruscamente. Parte come un romanzo di formazione, una storia di empatia e di solidarietà femminile, di un’amicizia tra due donne. Quando è ormai verso la fine, dopo 80 minuti, svolta verso il noir, il thriller, con un cambio di tono netto, che non era stato affatto preparato, e che lascia un po’ di stucco per come porta il film da un’altra parte. Ma forse il problema è nostro, che volevamo assistere a un’altra storia.
Una storia che ci sembrava molto interessante. Una storia che viene vissuta attraverso i volti delle due protagoniste, che sono il motivo principale per vedere il film. Thomasin McKenzie ha il viso perfetto per raccontare il suo personaggio. È un volto da bambina, dai lineamenti lievi, gentili, non marcati. Gli occhi sono lievemente allungati, il naso e la bocca sono piccoli. La sua Eileen è una ragazza acqua e sapone, senza trucco, a metà tra essere una bambina ed essere una donna, in uno di quei momenti di passaggio della vita. Le sue timidezze, le sue ritrosie i suoi imbarazzi raccontano bene il suo stato. “Il tuo viso mi ricorda un quadro di un pittore olandese” le dice Rebecca.
Anne Hathaway è Rebecca St. John, la nuova psicologa che arriva nel carcere minorile e, sin dal suo aspetto fisico, è una sferzata nella vita di Eileen. I capelli biondi, vaporosi, portati corti giusto sotto all’orecchio, un po’ alla Marilyn Monroe. I tailleur grigi, bon ton, che la rendono un po’ la bionda algida hitchcockiana. “I denti sono perfetti”, come sottolinea Eileen, e sono al centro di una bocca grande e carnosa e illuminano il volto quando sorride. Rebecca (anche il nome è hitchcockiano…) è per Eileen un modello di donna che non aveva mai visto. È forte, indipendente, è una donna dalla personalità formata. Anche lei nasconde qualcosa, certo, ma l’impatto che ha su Eileen è forte. La giovane ne è affascinata, attratta, entusiasmata.
Il confronto tra queste due donne così diverse, ma che riescono ad avvicinarsi, a trovare dei punti di contatto, è intrigante. E così, man mano che il film procede, ti chiedi dove possa portarle questo sodalizio. Le porterà prima verso stanze oscure, sotterranee. Poi, ancora, verso l’ignoto. Forse quelle due donne, tratteggiate fino a un certo punto così bene, iniziavano a piacerci così tanto che avremmo voluto un altro destino, un altro sviluppo per loro. Eileen è un film di sguardi e di parole, con un’ottima ricostruzione d’epoca, coerente nelle musiche e negli arredi, come nelle scelte di regia, una messinscena semplice e lineare. Un racconto semplice e reale, che viene spezzato solo dalle fantasie di Eileen, momenti di rottura che entrano in scena senza alcuno scarto dalla realtà, tanto da far sembrare per un attimo che ne facciano parte, e che solo il montaggio, con il ritorno alla situazione reale, quella di partenza, ci fa realizzare siano solo sogni ad occhi aperti. I suoi sogni si realizzeranno? Anche questo possiamo solo immaginarlo.
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