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Il Regno del Pianeta delle Scimmie: una grande avventura vista dal punto di vista delle scimmie

Il Regno del Pianeta

Tre scimmie hanno scalato delle vette molto alte per raggiungere il nido di un’aquila. I tre sono dei ragazzi, lo capiamo da come si comportano, da come parlano, da come sono emozionati. Sembra essere la prima volta che si trovano davanti a un nido. Ci sono tre uova: si chiedono se prenderle tutte e tre o lasciarne una. Finiscono per prenderle tutte. Le alleveranno con pazienza, si prenderanno cura delle giovani aquile. Comincia così Il Regno del Pianeta delle Scimmie, diretto da Wes Ball, al cinema dall’8 maggio. È un nuovo inizio della saga e allo stesso tempo continuazione dei tre film della trilogia iniziata nel 2011 con L’Alba del Pianeta delle Scimmie, il film di Rupert Wyatt con James Franco che spiegava l’inizio di tutto e introduceva la figura di Cesare, la scimmia leader al centro della storia. Potrebbe sembrare il solito film del franchise Il Pianeta delle Scimmie, eppure è qualcosa di nuovo, un diverso punto di vista. Le scritte in sovraimpressione riassumono che cos’era successo: un virus aveva sviluppato l’intelligenza delle scimmie, le aveva rese capaci di parlare, e ne aveva decretato la supremazia sulla Terra. Allo stesso tempo, aveva fiaccato gli umani e li aveva resi la razza succube. Cesare, il primate che era stato allevato dagli uomini, aveva però governato con saggezza, decretando che uomini e scimmie dovessero convivere insieme.

Sono passate alcune generazioni, e un centinaio di anni, da quei fatti. Cesare ormai non c’è più, e per alcune scimmie è una figura leggendaria. Come recita il titolo del film, è Il Regno del Pianeta delle Scimmie: il pianeta Terra è ormai appannaggio dei primati. Alcune tribù, le scimmie dei fiumi, hanno imparato ad allevare e addomesticare le aquile, che sono i loro preziosi alleati. Quando un altro clan di scimmie, affatto pacifiche, assalta il villaggio di Noa (interpretato da Owen Teague grazie alla performance capture), uno di quei tre giovani, portando via i suoi fratelli, il ragazzo decide di intraprendere un viaggio per ritrovarli. Incontra Raki, un’anziana scimmia che porta avanti ancora il messaggio di tolleranza di Cesare, e diventa per lui un mentore. E Mae (Freya Allan), una giovane umana molto più sveglia degli altri.

Il Regno del Pianeta delle Scimmie ribalta ulteriormente il punto di vista. Nei film classici della saga, iniziata nel 1968 con l’eponimo Il Pianeta delle Scimmie con Charlton Heston, vivevamo la storia attraverso l’occhio degli umani che arrivavano su un pianeta governato dalle scimmie, per poi scoprire che era la Terra del futuro (la famosa inquadratura della Statua della Libertà distrutta rimasta nella storia). Ma anche nella nuova saga, iniziata con il film del 2011, eravamo in un mondo di umani mentre assistevamo agli esperimenti che avrebbero dato il via a tutto. E anche nei due film seguenti, la storia era sempre quella: scimmie contro umani. Qui cambia davvero la prospettiva: vediamo ogni cosa attraverso gli occhi di Noa e dei suoi fratelli, il viaggio alla scoperta del mondo lo facciamo con lui, è lui che ci fa provare emozioni e sensazioni. Il nuovo film è un prodotto charachter driven, guidato dai personaggi: sono scritti molto bene e ci fanno appassionare.

Di umani, ne Il Regno del Pianeta delle Scimmie, ce ne sono pochissimi. Solo Mae, la protagonista, e solo un piccolo gruppo di persone allo stato primitivo che vengono ben presto razziati dalle scimmie più violente. Tutto questo fino al finale, che promette nuovi sviluppi per altri film. Saranno ancora Noa, da una parte, e Mae, dall’altra, a doversi confrontare per garantire insieme un futuro di uomini e scimmie.

Se il box office sarà d’accordo, allora, vedremo ancora uno o due film per continuare questa storia. Che, in fondo, ci ha convinto. La saga de Il Pianeta delle Scimmie, fin qui considerata fantascienza, lo è ancora, certo. Ma questo nuovo film è anche cinema d’avventura, romanzo di formazione, western. È, soprattutto, costruito dall’inizio dal punto di vista delle scimmie. E questo ci costringe per forza a cambiare visuale. Questo è possibile anche per i progressi della tecnologia. Un tempo i primati erano umani che indossavano un trucco prostetico, pesanti mascheroni di gomma che permettevano al volto un’espressività ridotta. Non potevano che essere gli antagonisti. Oggi, grazie alla performance capture, evoluzione della motion capture, gli animali sono creati al computer ma catturando i movimenti di attori in carne ed ossa e trasferendoli a quelli dei personaggi animati. Il risultato sono movimenti minuziosi e precisi dei volti, e una grande forza negli sguardi. Un’espressività senza pari che rende le scimmie letteralmente vive. E finalmente protagoniste.

Ci sono altri due aspetti, poi, che rendono interessante Il Regno del Pianeta delle Scimmie. Il primo è vedere, a 100 anni dalla scomparsa dell’uomo come razza dominante, la natura riprendersi i suoi spazi, la sua forza, la sua salutare bellezza. Che ci si trovi intorno al fiume, o in città che una volta erano di cemento, tutto è verde. Ed è una sensazione bellissima, sulla quale dovremmo riflettere. L’altro momento che ci fa riflettere è quello in cui le scimmie e Mae entrano in un manufatto creato dagli umani, una vecchia fabbrica. E lì trovano i resti di quello che era l’uomo. In due parole: i libri e le armi. Un dualismo che dice molte cose. E che, anche dopo il ritrovamento di quella scheda e dell’ottimo finale, ci fa chiedere: cosa resterà del genere umano?

di Maurizio Ermisino

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