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Mother’s Instinct: Jessica Chastain e Anne Hathaway, amiche, nemiche e…

Mother’s Instinct: Jessica Chastain e Anne Hathaway, amiche, nemiche e…

Si parla di John Fitzgerald Kennedy durante una cena, in uno dei pochi momenti ancora spensierati di Mother’s Instinct, il film con Jessica Chastain e Anne Hathaway in arrivo al cinema dal 9 maggio. Siamo in America degli anni Sessanta, nei momenti che precedono l’elezione di JFK, e al centro della storia ci sono due donne che sembrano modellate su quelli che sono stati i suoi amori, nonché le icone di quegli anni. Céline, il personaggio di Anne Hathaway, è mora e sobriamente elegante, come Jacqueline Kennedy. Alice, che ha il volto di Jessica Chastain, è bionda platino ed esuberante come Marilyn Monroe. Dentro questi ritratti, questi tipi di donna americana degli anni Cinquanta e Sessanta, ci sono però due personaggi veri, viscerali. Due donne che vivono la loro vita una accanto all’altra fino a che l’evento deflagrante al centro del film farà uscire la loro vera natura. Quale sia, però, non lo sappiamo. E non lo sapremo fino all’ultimo. Il bello di Mother’s Instinct, in fondo, è questo. Mother’s Instinct è l’opera prima di Benoit Delhomme, che nel film è anche direttore della fotografia, ruolo per il quale è già conosciuto a livello mondiale: è tratto dal romanzo Derrière la haine (Oltre la siepe) di Barbara Abel e basato sul film Duelles (Doppio sospetto), diretto da Olivier Masset-Depasse.

Alice (Jessica Chastain) e Céline (Anne Hathaway) vivono con le loro famiglie in due ville, l’una accanto all’altra. I loro mariti sono uomini di successo, che lavorano tutto il giorno, e loro sono le mogli perfette che, come da copione in quell’America dei Fifties e dei Sixties, li aspettano e preparano loro il drink. Entrambe hanno dei figli, Theo e Max, che hanno la stessa età, giocano sempre insieme, sono inseparabili. Un mattino Max, che sta poco bene, resta a casa da scuola. Per appendere la casetta degli uccellini sale sul balcone della sua villa, si sporge e cade perdendo la vita. Céline, la madre, sta facendo le pulizie al piano di sotto con l’aspirapolvere e non sente le grida di Alice. Che ha visto tutto, che è salita fino al balcone per cercare di salvare Max. Ma non ce l’ha fatta.

Da questo momento saltano gli schemi. Alice e il marito partecipano sinceramente al dolore di Celine e del suo compagno. Sono vicini soprattutto a lei, la madre, che sembra aver accusato di più il colpo. La invitano al compleanno di Theo, le fanno passare del tempo con lui. Stare insieme fa bene a Céline, che così ha dei ricordi del bambino che non c’è più. E fa bene a Theo, perché senza il suo amico si sente solo, e, stando a casa sua, con i suoi giocattoli, potrebbe elaborare meglio la perdita. Ma è davvero così? O la vicinanza di Alice a Theo è eccessiva, troppo evidente, troppo morbosa? Le due donne hanno idee diverse.

E così Mother’s Instinct si muove passando continuamente da un punto di vista all’altro, dalle ragioni di una a quelle dell’altra. Passa da dramma a thriller dell’anima a thriller vero e proprio, fermandosi un attimo prima di dove si sarebbe fermato Hitchcock, che forse su quelle perle cadute ci avrebbe costruito un altro finale. Il film vive sulla deriva della percezione di noi che guardiamo, sviati sapientemente di volta in volta verso una tesi o l’altra, prendendo le parti di un personaggio o dell’altro. Céline è davvero pericolosa, o è Alice che è paranoica? Non lo sapremo fino alla fine.

A Delhomme, che colora il suo film di tinte pastello, come se fossimo in Lontano dal paradiso di Todd Haynes, in fondo, il thriller interessa fino a un certo punto, così come colpevoli o innocenti. Gli interessa, piuttosto, scandagliare l’animo umano e quell’istinto materno del titolo, che qui assume contorni inquietanti. L’istinto materno è quello di proteggere da ogni cosa il proprio figlio, ma è anche il bisogno di molte donne di avere un figlio per sentirsi vive. E così l’istinto materno può portare a fare delle scelte impulsive, sorprendenti.

Sono sorprendenti anche le due protagoniste, star conclamate del cinema di oggi, che riescono allo stesso tempo a scomparire nei loro personaggi e ad essere più che mai se stesse e riconoscibili. I loro personaggi sono esteticamente l’opposto, e sono modellate su due icone e personaggi storici che sono state realmente rivali. La Céline di Anne Hathaway appare in scena con un tubino blu, sotto il ginocchio, attillato e sobrio, e nel sottofinale è in scena con un tailleur chiaro modello Chanel e un tipico cappellino di quella maison. I capelli corti sopra le spalle cotonati e vaporosi, quel filo di perle che indossa la rendono davvero la replica di Jackie Kennedy. Il viso, al solito, è dolce e solare, ma, man mano che il dramma si fa largo è sempre più enigmatico. Il sorriso diventa forzato, ostentato, ma trattiene a fatica una smorfia di dolore che si fa largo sempre più e non riesce a non lasciare il posto al pianto. Il volto è quello di una bambola di porcellana che comincia a rompersi, a presentare delle crepe. Fate attenzione a quegli angoli intorno alla sua bocca carnosa e perfetta.

Jessica Chastain, Alice, entra in scena in un abito verde acceso e abdica al suo principale carattere distintivo, i capelli rossi, per sfoggiare un biondo platino che la rende simile a Marilyn Monroe. È più spumeggiante, più sfrontata, più emancipata. O, almeno, cerca di esserlo. Fate attenzione ai discorsi delle prime scene, quando ci fa sapere di essere stata una giornalista e di voler tornare a lavorare e di sentirsi dire dal marito che non ne ha bisogno (c’è ancora domani per lei?). Anche Alice, proprio come Marilyn, ha avuto dei problemi di natura psicologica. Il suo sguardo sembra denotare un velo di follia. Ma un attimo e vediamo la follia negli occhi dell’altra donna, la Céline di Anne Hathaway. Mentre nel loro mondo gli uomini sono inutili, inerti, inetti, assenti, queste due donne sono al centro di tutto. Come ne Il cerchio di gesso del Caucaso di Bertolt Brecht, sono due madri che tirano a sé un bambino al centro della contesa. Nelle pièce una delle due, a un certo punto, lo molla. E qui?

di Maurizio Ermisino

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