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Vita da gatto – Crescere insieme è l’avventura più grande

Vita da gatto – Crescere insieme è l’avventura più grande

VITA DA GATTO Crescere insieme è l’avventura più grande.
Diretto da Guillaume Maidatchevsky e con Capucine Sainson-Fabresse e Corinne Masiero

Sinossi
Quando la piccola Clémence salva Rrou, un gattino orfano nato fra i tetti di Parigi, non ha idea della straordinaria avventura che la attende. La loro amicizia diventa presto un legame indissolubile, ma quando i due si trasferiscono nella casa di campagna per le vacanze, il richiamo della natura si fa sempre più forte nel suo amico a quattro zampe, mettendo Clémence di fronte a un’importante e difficile scelta.

Intervista a Guillaume Maidatchevsky Regista e co-sceneggiatore

Vita da gatto è tratto dal romanzo di Maurice Genevoix, Rroû. Come è arrivato nelle tue mani questo libro, pubblicato nel 1931 (e meno letto oggi)?
Sappiamo che questo romanzo di Maurice Genevoix era il libro della buonanotte di Stéphane Millière – uno dei produttori del film – quando era bambino. Ne ha acquistato i diritti circa dieci anni fa. Mi ha contattato dopo aver visto il mio primo film, Ailo — Un’avventura tra i ghiacci. Ho letto il libro e l’ho visto come una sfida particolarmente complessa! I valori trasmessi dal romanzo sono molto universali, ma la sua ambientazione, molto influenzata dagli anni ’30, doveva essere modernizzata per parlare al giovane pubblico del XXI secolo e permettergli di identificarsi con i personaggi. Tanto più che, in un modo o nell’altro, che ne abbiate avuto uno in casa o meno, tutti hanno avuto un gatto nella loro vita.

Ma cosa è rimasto dell’opera originale?
Ciò che abbiamo mantenuto di Maurice Genevoix è il punto di vista dell’animale, il modo in cui percepisce la natura. Questo è molto più interessante con un gatto perché, a differenza di un cane che può essere “addomesticato” abbastanza rapidamente, il felino è al confine tra due mondi: quello domestico e quello esterno.
Ha un lato indomabile, irrefrenabile. Come dice Genevoix nel suo romanzo, “il gatto acconsente”.
C’è questo lato in lui che dice: “Se mi va”.

Quando avete accettato il progetto, non avevate paura della sindrome del “calendario di Frate Indovino”?
Cioè di sprofondare in una rappresentazione piuttosto sdolcinata dell’animale?
Sì, fin dall’inizio mi sono detto che non volevo fare un film sdolcinato. È anche per questo che ho voluto mantenere la durezza del libro. Il passaggio in cui il gatto uccide il toporagno è molto preciso nella sua descrizione.
Si percepisce la crudeltà dell’animale. Ma questa realtà deve essere raccontata. Non voglio che la gente esca dal cinema pensando che il mio film sia falso.
Volevo raccontare la specie felina così com’è: a volte carina, ma anche cacciatrice, predatrice, capace di giocare con le sue prede. È l’animale che la mattina uccide un uccello in giardino e la sera fa le fusa sul vostro divano!
Volevo che i bambini capissero che il gatto ha la sua libertà. E che sta a lui decidere se prenderla o meno.

Lei è abituato a girare in ambientazioni piuttosto spettacolari, come nel caso di Ailo, in Lapponia. Qui, invece, ha girato in ambienti più familiari allo spettatore: l’ambiente urbano, la foresta francese… Questa dimensione più “quotidiana” è stata una sfida per lei?
È vero che in Africa o in Lapponia le ambientazioni sono così incredibili da esercitare un fascino naturale sugli spettatori. Se dovessi esagerare, direi che tutto ciò che devo fare è premere il tasto “registra”. In effetti è più complicato creare belle ambientazioni in cui le persone vivono ogni giorno.
E poi un divorzio, la scomparasa di un animale domestico, anche queste sono situazioni che sono familiari a molti
di noi.
Con questo film, quindi, sono uscito dalla mia comfort zone. Ciò che mi sembrava essenziale era entrare nella storia, non perdere mai di vista la domanda: “Cosa voglio raccontare? Quando è uscito Ailo, una madre è venuta a trovarmi alla fine di una proiezione per dirmi: ‘Grazie, aiuterai mio figlio a crescere’.
Allo stesso modo, mi sono chiesto come Vita da gatto potesse aiutare i bambini a crescere.

Da qui il fatto che anche il divorzio è uno dei temi del film?
Questo film mi ha permesso di mettere insieme la mia esperienza – so cosa sia una separazione – e il mio modo di lavorare con gli animali. E poi Vita da gatto è una storia di apprendimento su come due persone possono costruirsi.
Mostra come, durante una separazione, una terza parte – in questo caso il gatto – intervenga per aiutare. Uno dei miei migliori amici è un veterinario e diceva sempre: “Se divorziate, prendete a vostro figlio un animale domestico”.
Credo molto nell’idea che un animale possa portare serenità. Allo stesso tempo, la ragazza si rende conto che il gatto sta crescendo più velocemente di lei. Sta diventando adulto e sta prendendo le sue decisioni.

Per l’appunto, Vita da gatto mostra che non si appartiene a nessuno. Un gatto non appartiene a nessuno…
Effettivamente, non mi piace l’idea di appartenenza.
Non mi piace l’idea di sedentarietà, di essere “schiavo di…”, “incatenato a…”. Ed è per questo che amo i gatti! Senza dipendere dall’altro, possiamo comunque condividere le cose con lui, comunicare, ascoltarlo. L’importante è condividere e osservare.

Come avete trovato i gatti che avrebbero interpretato il ruolo di Rroû?
Muriel Bec, l’addestratrice degli animali, è andata in tutti i rifugi per animali, in tutte le fattorie, da chiunque avesse messo annunci. Ha cercato davvero ovunque. E non le ho reso le cose facili perché volevo un gattino tigrato. Non è facile farlo con i raccordi di montaggio, perché le strisce devono essere simili da un gatto all’altro. Ma i gatti bianchi sono noti per avere problemi di sordità. Per quanto riguarda i gatti neri, le loro espressioni sono meno leggibili. Alla fine avevamo quattro Rroû, ma uno di loro è stato responsabile dell’80% delle riprese. Con lui abbiamo instaurato un vero e proprio legame. é arrivato sul set a due mesi e mezzo e ha assorbito tutto come una spugna. E’ cresciuto davvero con noi sul set. L’unica difficoltà è stata che quando sono arrivato sul set mi sono reso conto di essere allergico ai gatti. Non appena mi sono trovato davanti 5 o 6 gatti, è diventato un po’ complicato. In un certo senso, il Covid mi ha aiutato perché abbiamo girato indossando le mascherine.

Come ha scelto Capucine Sainson-Fabresse, che nel film interpreta la bambina?
La direttrice del casting ha visto circa 800 bambini e me ne ha presentati tra i 150 e i 200. Durante i test, ho visto molte piccole modelle, piccole principesse che erano molto “ingessate”. Tuttavia, per il personaggio di Clémence, io e Michaël Souhaité, il mio co-sceneggiatore, ci siamo ispirati alla bambina di LITTLE MISS SUNSHINE: un po’ diversa, ribelle…
Durante le prove, ho proposto un esercizio: ho messo un croissant da una parte e un cestino davanti. Il croissant rappresentava il gatto, il cestino un muro. Ho chiesto ai candidati di immaginare di essere dall’altra parte del muro rispetto al gatto. Il gatto voleva andarsene e loro dovevano immaginare cosa dirgli per fermarlo. Capucine è stata l’unica a dirmi: ‘Ma perché dovrei impedirgli di andarsene se vuole farlo?’ Non solo è stata in grado di proiettare se stessa nella storia, ma è stata anche in grado di creare emozioni con un croissant e un cestino!

E come siete arrivati a scegliere Corinne Masiero per il ruolo di Madeleine?
L’ho incontrata a casa sua a Roubaix. Aveva visto Ailo e le era piaciuto molto. Le ho detto: “Vorrei filmarti come faccio con gli animali”. Si è messa a ridere. Intendevo dire che filmo l’animale il più vicino possibile, in modo organico. Ho anche sentito che era estremamente sensibile nel suo rapporto con la natura. Ed è molto rispettosa: ha capito subito che i protagonisti erano la bambina e il gatto.

Qual è stata la cosa più complicata da girare per lei?
Credo sia stato riuscire a far percepire la complicità tra Clémence e il gatto. Bisognava far capire che erano in simbiosi tra loro. Un bambino e un gatto: è una cosa abbastanza comune. Ma cosa lo fa funzionare?

Gran parte del film si svolge nei Vosgi [dipartimento nel Nord-Est francese attraversato dall’omonimo massiccio montuoso, ndr]. Cosa l’ha spinta a farne l’ambientazione del suo film?
Mi interessava l’aspetto montuoso e in questa regione si vedono molto bene le variazioni delle stagioni.
Questo ci ha permesso di incarnare soprattutto l’inverno. E ha reso possibile anche la presenza della lince, che è presente in questa zona. Mi piaceva anche il tipo di foresta che ti immerge immediatamente nel mondo del racconto, con il muschio e la luce magnifica. Tutto questo si adattava bene al mondo del film.

Il film è costellato di riferimenti a grandi classici del cinema…
In effetti, la scena del pollaio è un chiaro riferimento a Jurassic Park, soprattutto la scena in cui il T-Rex entra nella mensa. E poi c’è anche il momento in cui il gatto si nasconde dietro le bambole, che evoca chiaramente E.T. Sono un grande fan di Spielberg, di Burton… E mi piace il fatto che lo spettatore possa avere dei riferimenti. Perché sono film che mi hanno aiutato a formarmi.

Come hanno reagito gli eredi di Maurice Genevoix al suo film?
Non posso nascondere che ero un po’ ansioso perché ci siamo presi delle libertà rispetto al romanzo. Soprattutto perché questo libro era il preferito del nipote di Maurice Genevoix quando era giovane. Ma mi ha detto che ero riuscito a fargli scendere una lacrima. Per me la sfida è stata vinta, perché il film lo ha riportato alle emozioni della sua infanzia. é stato particolarmente toccato dal fatto che abbiamo mantenuto il punto di vista dell’animale, ma anche dal divorzio dei genitori in cui il gatto svolge il ruolo di compagno.

E ora che il film sta per uscire, quali sono i suoi progetti?
Inizierò il sequel di Ailo. Kina & Yuk racconta le avventure di due volpi polari sullo sfondo del riscaldamento globale. Girerò nello Yukon all’inizio del 2023. Inoltre, ho appena finito di scrivere l’adattamento di Jules, un romanzo di Didier Van Cauwelaert: la storia di un cane guida la cui padrona recupera la vista.

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