Gli Oscar sono passati da una settimana e abbiamo ancora negli occhi le espressioni dei vincitori, come sempre tra il sorpreso e l’orgoglioso, il visibilmente soddisfatto e la consapevolezza del loro lavoro e del loro impatto. Gli Oscar per i migliori attori sono sempre quelli più attesi insieme al miglior film e al miglior regista. Perché, da sempre, andiamo al cinema attratti da quei volti che sul grande schermo diventano magici, ci tirano dentro la storia, ci fanno amare o odiare, o temere, i loro personaggi. E legarci a un film. È stato così anche quest’anno. Oppenheimer ha dominato anche nei premi agli attori, con Cillian Murphy e Robert Downey Jr., miglior attore protagonista e non protagonista. Vittorie annunciate, forse. Ma Murphy aveva contro di sé lo straordinario Paul Giamatti di The Holdovers – Lezioni di vita e Downey Jr. l’iconico Ken di Ryan Gosling in Barbie. Se Da’Vine Joy Randolph, miglior attrice non protagonista di The Holdovers, non è mai sembrata avere rivali, avendo vinto più o meno tutti i premi possibili nella award season, la sorpresa è stata l’attrice protagonista: Emma Stone, per Povere creature!, l’ha spuntata nel testa a testa contro Lily Gladstone per Killers Of The Flower Moon. E allora, ancora una volta, non possiamo non iniziare da lei. A proposito, sui social media, qualcuno ha fatto notare che agli Oscar è andata a finire come nel finale di La La Land: lei attrice riconosciuta e premiata, Ryan Gosling musicista di successo (guardate la sua performance in I’m Just Ken).
Emma Stone (Povere creature!)
Di Emma Stone abbiamo già scritto tanto e fatichiamo ancora a trovare aggettivi. A 35 anni ha già vinto due Oscar, ed è entrata nel novero di attrici come Meryl Streep, Elizabeth Taylor e Jodie Foster. È la musa dichiarata di Yorgos Lanthimos, il regista Povere creature! E la bella notizia è che sarà nel prossimo film del regista greco, Kinds Of Kindness, che a giugno arriverà nei cinema americani e speriamo presto anche di noi. Emma Stone è la perfetta donna bambina. E ha vinto l’Oscar 2024 nel ruolo di Bella Baxter -un corpo di donna riportato alla vita con un cervello di una neonata, proprio – grazie al suo innato candore, alla sua ingenuità che sa diventare forza. La performance di Emma Stone in Povere creature! è frutto del coraggio di Emma Stone. Il coraggio di trasformarsi, di apparire anche brutta, con quelle sopracciglia marcate (ma brutta non riesce ad esserlo mai). Quello di mettersi a nudo, letteralmente, in lunghissime scene di sesso che raccontano la crescita del personaggio. La bravura sta nel diventare, nel corso dello stesso film, ogni volta una donna diversa, sempre più matura, sempre più consapevole: gradualmente ma in fondo velocemente. E quegli occhi di giada stupiti e spalancati sul mondo sono una delle cose che ricorderemo del cinema di quest’anno.
Cillian Murphy (Oppenheimer)
E occhi chiari, cerulei, glaciali, sono quelli che contraddistinguono Cillian Murphy, il protagonista di Oppenheimer, che oggi tutti incensano, e che vorrebbero anche come nuovo James Bond. Ma che è un attore di razza da sempre, continuamente alla ricerca di ruoli insoliti, inconsueti, in cerca della follia che c’è in noi. Protagonista di un film come 28 giorni dopo, di Danny Boyle, Cillian Murphy avrebbe potuto fare il bello, l’eroe. Invece, in Batman Begins, la sua prima esperienza con Nolan, è stato il cattivo, lo Spaventapasseri, qualcuno che si nutre delle paure altrui. Lo abbiamo visto spesso con un sacco sulla testa, in quel film la presenza c’era. Il provino per Batman lo aveva fatto, e non aveva convinto Nolan in quel ruolo. Ma il regista ci aveva visto qualcosa. E così è stato il villain di quel film, e poi ancora in Inception e in Dunkirk: sempre in ruoli di supporto, fino a diventare finalmente protagonista in Oppenheimer. Ma i suoi occhi chiari hanno assunto il colore della follia in Red Eye, di Wes Craven, in cui aveva la parte di un dirottatore di aerei, e nella serie Peaky Blinders, in cui è un boss criminale nella Birmingham degli anni Venti. Murphy è stato l’attore perfetto per racchiudere, nel suo volto spigoloso e nei suoi occhi vitrei, la complessità e le scissioni di un uomo come Robert Oppenheimer. Il suo volto, sullo schermo, è solo apparentemente imperscrutabile: tutta l’esplosione che avviene dentro di lui traspare attraverso i dettagli, i movimenti facciali, l’ombra negli occhi. Il tutto con un’eleganza già di per sé innata, ma rinforzata attraverso quel look che è ispirato a David Bowie, con i cappelli a tesa larga, i pantaloni a vita alta: abiti sobri, eleganti, impeccabili. Con il sodalizio con un grande come Nolan e un Oscar come attore protagonista nella sua libreria, Murphy oggi può fare qualunque cosa. Nel frattempo, ha scelto di girare un piccolo film impegnato. È Small Things Like These, per la regia di Tim Mielants, e parla dello scandalo delle “Magdalene laundries”, le lavanderie dove venivano fatte lavorare, e maltrattate, le giovani orfane ospitate dai collegi cattolici in Irlanda.
Robert Downey Jr. (Oppenheimer)
Sul grande schermo, tra il Robert Oppenheimer di Murphy e il Lewis Strauss di Robert Downey Jr. è stata una continua sfida, prima a distanza, poi sempre più ravvicinata. Nella corsa agli Oscar non è stata una sfida, ma una corsa in parallelo che ha portato entrambi gli attori all’Oscar. Robert Downey Jr., che aveva iniziato la sua carriera proprio con una nomination all’Oscar per il suo Charlot, in cui interpretava Charlie Chaplin, è arrivato all’apice della sua carriera con l’Oscar per miglior attore non protagonista. Che poi è anche la risposta a chi diceva che le sue scelte, dopo Iron Man e gli Avengers, erano sbagliate. Detto che a questi Oscar Iron Man ha battuto anche Hulk (cioè Mark Ruffalo, candidato per Povere creature!), con Oppenheimer Robert Downey Jr. ha iniziato una stupenda nuova fase della sua carriera, la sua terza vita. In Oppenheimer appare immediatamente elegante: la sua figura pare uscita dal cinema classico, un cinema d’altri tempi. I capelli sono bianchi, lisci, pettinati all’indietro, e poi rasati, gli occhiali con la montatura a due colori, nera e trasparente, tipica di quegli anni. Il suo look ci porta immediatamente indietro nel tempo. E Robert Downey Jr., a cinquant’anni di carriera, è già un classico. E le rughe che solcano il suo volto, alcune più leggere, altre più profonde, ci dimostrano che, anche in questo lavoro, non è obbligatorio essere giovani per sempre, come i supereroi.
Da’Vine Joy Randolph (The Holdovers)
Così come non è obbligatorio essere bellissimi e con un fisico conforme ai canoni della bellezza classica. Il mondo di oggi, con la body positivity, va in questa direzione. “Per tanto tempo ho voluto essere diversa invece mi sono resa conto di dover essere solo me stessa. Vi ringrazio per quando ero l’unica ragazza nera nella mia classe, vi ringrazio per quando mi avete vista quando ero invisibile” ha dichiarato ricevendo l’Oscar. Ma il premio a Da’Vine Joy Randolph come miglior attrice non protagonista per The Holdovers – Lezioni di vita, è un premio al talento e alla sensibilità. L’attrice, che ha vinto tutti i premi possibili in questa award season, buca letteralmente lo schermo in ogni scena in cui è presente in The Holdovers, arrivandoci al cuore. Da’Vine Joy Randolph, 37 anni, da Philadelphia, finora è stata nota soprattutto come attrice comica e brillante (vedi le serie Only Murders In The Building e High Fidelity) ed è facendoci sorridere, con i suoi modi spicci e sboccati, che ci conquista all’inizio di The Holdovers. Ma il suo personaggio, Mary Lamb, cuoca della scuola che rimane con il professore di Paul Giamatti e un altro studente da sola nella scuola durante le feste di Natale, ben presto ci svela i suoi lati nascosti: i drammi personali, le ferite, le frustrazioni. E così arriva a farci commuovere, dopo averci conquistato con il sorriso. Come sanno fare i grandi. Anche per lei, come per gli altri tre attori di cui parliamo, d’ora in poi non ci sono limiti.
di Maurizio Ermisino
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