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IL PUNTO DI RUGIADA un film di Marco Risi dal 18 gennaio al cinema

IL PUNTO DI RUGIADA un film di Marco Risi dal 18 gennaio al cinema

Da giovedì 18 gennaio nelle sale cinematografiche IL PUNTO DI RUGIADA un film di Marco Risi, con Massimo De Francovich, Alessandro Fella, Eros Pagni, Lucia RossiLuigi Diberti, Roberto Gudese, e con Valerio Binasco e con Elena Cotta.

Il film è stato presentato al 41º Torino Film Festival.

SINOSSI
Carlo, un ragazzo viziato e sregolato, una notte provoca da ubriaco un grave incidente d’auto per il quale viene condannato a scontare un anno di lavori socialmente utili in una casa di riposo.
Insieme a lui a Villa Bianca arriva anche Manuel, un giovane spacciatore colto in flagrante.
Luisa, infermiera che lavora da anni nella struttura, guiderà i due ragazzi in un mondo senza età dove condivisione, conforto e accoglienza cambieranno per sempre il loro sguardo sul mondo e sulla vita.

INTERVISTA A MARCO RISI
Come è nata l’idea del film e come si è sviluppata?
Una decina di anni fa ero andato a presentare “Fortapàsc” a Pordenone ed ero stato avvicinato da un tipo, un certo Enrico Galiano, un insegnante di scuola media diventato in seguito uno scrittore di successo. Mi raccontò della sua esperienza con il servizio civile in una casa di riposo per anziani. Gli chiesi di scrivere un trattamento che però non mi convinceva, ma dentro di me sentivo che c’era del buono e quell’idea soprattutto non mi abbandonava.
Sono passati alcuni anni in cui ho diretto altri film e ho scritto il libro “Forte respiro rapido”, sul rapporto con mio padre Dino. E quella storia di vecchi, forse anche per via del libro, continuava a fare capolino, ogni tanto. Così alla fine mi sono deciso, ho coinvolto Riccardo de Torrebruna e Francesco Frangipane con i quali avevo già lavorato, ci siamo chiusi nella mia casa al mare per un mese e ne siamo usciti finalmente con una “scaletta” che mi soddisfaceva.
Sentivo che era arrivato il momento, forse anche per via dell’età, la mia, di parlare di vecchi e dell’incontro tra due generazioni che mal si sopportano e sono costrette a convivere in una stessa struttura, quella di una casa di riposo. Mi interessava l’abisso generazionale tra chi è vicino al grande traguardo e chi ha ancora davanti tutta la vita. Il film nasce intorno a queste relazioni e al sentimento che si sviluppa nell’arco del film tra i vecchi e i due giovani destinati ad accudirli, se all’inizio c’è sarcasmo da parte di quelli e insofferenza da parte di questi, andando avanti prenderà un altro tipo di piega. Quello che non volevo fare era un film triste, a cominciare dalla struttura nella quale risiedono “gli ospiti”, come il direttore esige che vengano chiamati i vecchi. Ci sono molti momenti di commedia, anche se il film non può definirsi tale, ma che ricordano un cinema di altri tempi.

Che cosa si racconta in scena più precisamente?
Carlo (Alessandro Fella), un ragazzo ricco e viziato, una notte, sotto i fumi dell’alcol e di altro, provoca un grave incidente d’auto nel quale viene sfregiata a vita una ragazza che era in macchina con lui. Per questo viene condannato a scontare un anno di lavori socialmente utili in una casa di riposo per anziani: Villa Bianca. Insieme a lui arriva anche Manuel (Roberto Gudese), un giovane spacciatore. I due si trovano costretti a una disciplina alla quale non erano per niente abituati, sotto gli occhi del direttore (Enzo Paci) e soprattutto di una capo infermiera (Lucia Rossi) che dovrebbe favorirne l’inserimento nella struttura e invece si rende conto, almeno all’inizio, che i due vorrebbero soltanto far passare in fretta il tempo del castigo.
Poco tempo dopo essere arrivato nella “casa” Carlo conosce un vecchio – che non a caso si chiama Dino – sarcastico, scorbutico, cinico ma anche attento e stimolante. All’inizio c’è una sorta di conflitto fra i due ma in Dino cresce una certa dose di curiosità perché intuisce in Carlo alcune qualità probabilmente ignote anche al ragazzo stesso, qualità che potrebbero tornargli utili per quel progetto che ha in mente.
Nel personaggio di questo anziano ho trasferito molti dati caratteriali di mio padre ma anche oggetti fisici: per esempio il bastone che usa in scena Massimo De Francovich era suo, glielo avevo regalato quando nei suoi ultimi anni iniziava a essere meno sicuro sulle gambe; così come erano di mio padre la penna stilografica che si vede in scena con le sue iniziali D.R. incise e l’album di ritagli fotografici degli anni ’70 che Carlo sfoglia quando entra nella stanza di Dino.
L’altro giovane Manuel, appare subito come un tipo furbo che se la cava in qualsiasi occasione ma, a differenza di Carlo, intuisce prima di lui che quel mondo così diverso e apparentemente così lontano può riservare delle sorprese e in quella dimensione troverà una sua ragione di vita, tanto è vero che deciderà di prolungare il suo periodo di “ferma”.

Chi interpreta gli altri personaggi?
Eros Pagni è Pietro, un ex colonnello a riposo che vive un problema grave con un figlio 50enne che ha addirittura tentato di ucciderlo (Valerio Binasco); Erica Blanc è Antonella, un’ex attrice che un giorno appare in tv in un vecchio film e tutti gli ospiti della casa di riposo la riconoscono, con suo dolore, per via di quella risata e si rendono conto di quanto fosse stata bella in passato. Maurizio Micheli è Pasquale, una sorta di ostinato playboy 75enne mentre Luigi Diberti è un ex amico di Dino che ha perso la memoria travolto dall’Alzheimer. E ancora: Elena Cotta è Livia, “la donna con la valigia”, sempre pronta a scappare dall’ospizio senza mai riuscirci e Ariella Reggio un’anziana ospite che non ricorda neanche più il suo nome e soprattutto di essere sposata con suo marito che si dispera e vuole risposarla e la risposerà, sperando in un qualche miracolo.

Hai scelto soprattutto attori di estrazione teatrale?
Sì, ma direi che ho scelto soprattutto attori bravi, e seri, e di grande spessore umano. Mi sono trovato molto bene con loro, e ci siamo anche divertiti. Ho avuto l’impressione, a un certo punto, che stavo facendo un salto indietro in quel cinema che ci ha lasciato tante emozioni e che ci manca anche un po’, almeno a me.

Qual è il significato del titolo?
Si tratta di un’espressione che ho ascoltato per caso da un vecchio solitario che avevo conosciuto in un ristorante vicino casa. Lui è un pianista ma anche un appassionato di meteorologia, gli chiedevo: “Come vedi oggi la situazione?” e lui rispondeva “mah, diciamo che probabilmente verso le 16:30 dovrebbe piovere”. Poi capitava che, dopo una giornata di sole, veramente alle 16:30 piovesse. Una volta disse “sono un po’ preoccupato per il punto di rugiada”, eccolo là. Quello era il titolo. Lui voleva indicare un momento di cambio di temperatura quando si raggiunge una certa gradazione (e questo può portare meteorologicamente anche a una nevicata, che c’è infatti nel film). L’umidità e il freddo dell’aria si scontra con il tepore e il calore della terra dando vita a un fenomeno particolarmente temuto dai piloti degli aerei perché è possibile che si formi del ghiaccio sulle ali. Quando si raggiunge il punto di rugiada, per semplificare, c’è lo scontro tra il freddo e il caldo; metaforicamente, nel mio caso, tra il vecchio e il nuovo, dove però non è detto che il caldo sia per forza il nuovo; lo si può intendere anche come il passaggio dal prima al dopo, da quello che era a quello che è, il passato e il futuro: i vecchi e i giovani.

Il risultato finale del tuo lavoro ti ha soddisfatto pienamente?
È come quando si chiede all’oste se il vino è buono. Saranno i clienti, gli spettatori, a stabilirlo. Però posso dire che ci sono due momenti che mi piacciono parecchio: uno è quello nel reparto Alzheimer, quando i due ragazzi, pensando di essere soli, si mettono a ballare sulle note di “Riderà” di Little Tony, e invece arriva Federico (Luigi Diberti), al quale la canzone fa improvvisamente tornare alla mente ricordi perduti e, per questo, costringe a ballare con lui la capo infermiera Luisa (Lucia Rossi), sopraggiunta all’improvviso sentendo quella musica ad altissimo volume. Poi c’è la scena della nevicata. Mi piace vedere quei vecchi che si tirano le palle di neve immersi in tutto quel bianco. È come vederli tornare bambini. In questa sequenza, fra l’altro, ho chiesto a Eros Pagni di fare una cosa che faceva Vittorio Gassman tutte le volte che si trovava sulla neve: la pipì, per vedere il formarsi di quei buchini gialli e il fumo che viene su… Gli ricordava con una gioia indescrivibile l’epoca in cui era piccolo.

Ma è un film nostalgico?
Altroché, e non mi vergogno a dirlo. C’è nostalgia nei vecchi per gli anni passati e anche in noi (o forse dovrei dire in me) per quel periodo meraviglioso. Lo si avvertirà in quello che dicono e vivono, nelle loro facce, nei loro movimenti. Molto del merito di tutto questo va dato a Leandro Piccioni, che ha composto la colonna sonora e al quale il film è dedicato, insieme a Gino Zamprioli, il capo truccatore.
Ci hanno lasciati entrambi qualche mese dopo la fine delle riprese.

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