“Le famiglie sono tenute insieme dal rimorso”, dice a un certo punto il protagonista di Enea, il nuovo film di e con Pietro Castellitto, presentato al Festival di Venezia e in uscita al cinema l’11 gennaio con Vision Distribution. Già, la famiglia. Quella famiglia che può essere un clan, cioè un gruppo di persone unite da unico scopo, come dice a un certo punto un personaggio del film. Per Pietro Castellitto, figlio d’arte, la famiglia è stata senz’altro importante. Per Enea, il personaggio del film, è un punto di partenza ma anche il nido da cui volare via, sulle proprie ali, magari con un volo incerto. Enea è l’opera seconda di Pietro Castellitto, considerato uno dei giovani autori più interessanti del nostro cinema. Lo è davvero? Il suo film è autoriale come concezione, perché cerca soluzioni personali di scrittura e regia, ma è anche uno di quei film in cui forse ci si vuole mettere troppe cose, dire troppo, senza davvero riuscire a mettere tutto a fuoco. Romanzo di formazione, satira sociale, gangster movie: Enea è tutto questo e niente di tutto questo. E Pietro Castellitto, che ha un’energia e una forza fuori dal comune, probabilmente il nostro prossimo grande Autore deve ancora diventarlo.
Ma di che cosa parla il suo film? Enea ha quasi trent’anni. È legatissimo alla sua famiglia, con cui non vive più ma che frequenta spesso. Frequenta anche tanto Valentino, amico fraterno e aviatore appena battezzato. I due, oltre allo spaccio e le feste, condividono la giovinezza. Nella storia di Enea ci sono la droga e la malavita, ma anche molto altro: un padre malinconico (Sergio Castellitto), un fratello che litiga a scuola, una madre sconfitta dall’amore (Chiara Noschese) e una ragazza bellissima (Benedetta Porcaroli). E una palma che cade su un mondo di vetro.
Enea di Pietro Castellitto è così. È in quella palma che cade e in decine di altre immagini singolari, create un po’ per stupire, di quelle che, se messe nel modo giusto nei film americani, funzionano a meraviglia e qui un po’ meno. È un film che procede per istantanee, per quadri, un film a suo modo impressionista. Ci si chiede che cosa voglia raccontare davvero Pietro Castellitto. Il suo film è forse un modo per mettere alla berlina il mondo borghese, la famosa “Roma bene”, ma raccontata da chi comunque ne fa in qualche modo parte. È un modo per criticare quella famiglia borghese, a cui in ogni caso deve molto. Ci si chiede, all’inizio, se parli di sé e della sua vita, di quello che vede, se da questa vita sia annoiato, sedotto, o infastidito. Quando nel film irrompe il gangster movie capiamo che è qualcos’altro, una storia di fantasia, e tra il Castellitto persona e il Castellitto personaggio comincia ad esserci probabilmente la giusta distanza.
Enea è un film che è difficile inquadrare, e questo è allo stesso tempo il suo pregio e il suo difetto. È una satira sociale senza esserlo fino in fondo, senza affondare davvero i colpi. È un romanzo di formazione fuori tempo massimo, in quanto storia di un trentenne dal carattere già abbastanza formato ma ancora non del tutto. È “un gangster movie senza la parte gangster”, come scrive lo stesso Castellitto nelle note di regia. E la trama legata alla droga è in fondo uno spunto per far uscire altro, dubbi etici e morali, rischi e scelte. È tanti film insieme e non è niente di tutto questo. È un pregio perché è davvero raro, oggi in Italia, trovare un film che abbia il coraggio di sfuggire alle regole. È un difetto perché, al di fuori di regole e generi, Enea perde delle solide basi su cui poggiare il racconto e finisce per non trovare il suo centro di gravità permanente.
Enea è uno di quei film in cui l’autore ha l’urgenza di mettere tutto: i suoi pensieri, le sue riflessioni i suoi aforismi. Alcuni sembrano inutili, altri così illuminanti che vorremmo averli scritti noi. Come quello che recita che “le ragazze belle rendono la vita leggera, come le nuvole. Come un treno di nuvole”. È uno di quei film in cui si vuole muovere la macchina da presa il più possibile, metterla in alto, ruotarla, per dimostrare la propria energia, il proprio bisogno di espressione. È un film ricercato e curatissimo nei suoni, che spesso entrano in scena nell’inquadratura precedente a quella dalla quale provengono, legando così le scene in un montaggio insolito. È un film che procede lentamente per accendersi all’improvviso.
Quello che ci piace di Enea è che racconta un mondo al contrario – come davvero sembra esserlo molto spesso oggi – un mondo dove i criminali fanno i filosofi e parlano di sentimenti, e in cui gli scrittori e giornalisti parlano del nulla. In cui gli psicologi curano i bambini ma non sono in grado di capire che cosa accade ai loro figli. In cui le conduttrici colte parlano di pace in tv ma sono piene d’odio. E poi, tra tante, forse troppe parole, c’è uno dei monologhi più belli che abbiamo sentito di recente, quello di Celeste, Sergio Castellitto, il padre di Enea, che racconta della lettera che gli ha scritto un bambino, un suo assistito. Ci parla del concetto di resistere di fronte alle difficoltà. E del fatto che, se si resiste, il domani sarà migliore. Ma per capire il senso del film forse occorre guardare quell’ultima inquadratura, e qui genitori che, tutti presi da se stessi, non si accorgono di quello che accade al loro figlio.
di Maurizio Ermisino
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