In una città devastata, rasa al suolo, si muore di fame. Due bambini si aggirano tra le macerie in cerca di cibo, come cani randagi. Uno di loro, lo capiamo non appena torna a casa, è Coriolanus Snow, il dittatore che abbiamo conosciuto, ormai anziano, con il volto di Donald Sutherland, nella saga di Hunger Games. Quella guerra civile che, come sappiamo, ha distrutto gli Stati Uniti d’America e l’ha resa una dittatura, con una città egemone e 12 distretti lasciati a morire di fame, ha portato via il padre a Coriolanus. Una volta cresciuto, dovrà farcela da solo. Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, prequel della fortunata saga tratta dai libri di Suzanne Collins che arriva al cinema il 15 novembre, è questo: la storia dell’ascesa di Coriolonanus Snow, il suo romanzo di formazione, il suo passaggio al Lato Oscuro. E proprio per questo promette di essere interessante. Lo è davvero?
Anni prima di diventare il tirannico presidente di Panem, il diciottenne Coriolanus Snow (Tom Blyth) è l’ultima speranza per il buon nome della sua casata in declino: un’orgogliosa famiglia caduta in disgrazia nel dopoguerra di Capitol City. Con l’avvicinarsi della decima edizione degli Hunger Games, il giovane Snow teme per la sua reputazione poiché nominato mentore di Lucy Grey Baird (Rachel Zegler), la ragazza tributo del miserabile Distretto 12. Ma quando Lucy Grey magnetizza l’intera nazione di Panem cantando con aria di sfida alla cerimonia della mietitura, Snow comprende che potrebbe ribaltare la situazione a suo favore. Unendo i loro istinti per lo spettacolo e l’astuzia politica, Snow e Lucy mireranno alla sopravvivenza dando vita a una corsa contro il tempo che decreterà chi è l’usignolo e chi il serpente.
Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, allora, ci riporta indietro nel tempo, per capire cos’erano gli Hunger Games, per che motivo erano stati creati e che cosa sono diventati. I giochi erano nati come una punizione, una sorta di sacrificio umano, per i distretti che si erano ribellati a Capitol City, un monito a non provarci più. Ma, nel corso dell’edizione che ci viene raccontata, c’è chi intuisce che gli Hunger Games possono diventare uno spettacolo. È per questo che, quando c’è chi suggerisce che i “tributi” vanno visti come esseri umani, c’è chi pensa che sia una buona idea. Ma non per un fatto di diritti umani. Se il pubblico terrà ai “tributi”, vedrà volentieri gli Hunger Games. Da punizione, a oppio dei popoli, panacea per accettare la dittatura. L’evoluzione degli Hunger Games è iniziata qui.
Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è quindi un prequel e, soprattutto, è un’origin story. Ma è l’origin story di un villain. E questo, come si può immaginare, rende tutto più interessante. In questo senso, il nuovo film della saga è vicino al racconto che era alla base della trilogia “prequel” di Star Wars di George Lucas, gli episodi I, II e III, che vedevano un giovane Anakin Skywalker, un eroe positivo, scivolare verso il Lato Oscuro e diventare l’opposto di quello che era. Coriolanus Snow sembra essere molto simile ad Anakin: è giovane, bellissimo, biondo, e animato da nobili sentimenti. Ma, già nel corso di questa storia, nei suoi ideali, nelle sue azioni, cominciano a crearsi delle crepe, delle ombre. Coriolanus sta cambiando. E avrà bisogno di altri film per compiere questo arco narrativo.
C’è un momento in cui, all’inizio dei giochi, viene detto alla giovane Lucy Grey di sistemarsi, per rendersi più “vendibile”. E, come gli altri film della saga anche qui si ragiona sul valore delle apparenze, dell’immagine. Siamo in un altro tempo e in un altro luogo, un’America di un medioevo prossimo venturo che riparte da zero, ma è chiaro che ancora una volta il mondo di Hunger Games vuole parlarci del qui e ora. Della società dell’immagine, di qualsiasi elemento, anche la guerra, che diventa spettacolo. Dell’intrattenimento elargito alle masse per obnubilarle e renderle disposte ad accettare tutto. E anche – questo è il cuore della saga degli Hunger Games – del difficile passaggi all’età adulta dei giovani d’oggi (in realtà di già due o tre generazioni) lasciati senza speranze, a sgomitare l’uno contro l’altro in un’eterna contesa alla ricerca del proprio, ristretto, posto nel mondo.
L’iconografia di questo nuovo Hunger Games è leggermente diversa da quella della saga principale. Lì c’era un misto di iconografia dell’antica Roma e di abiti futuristici ed eccessivi, irreali, a suggerire una dimensione leggermente fantasy e astratta dall’oggi che è un classico di certe saghe young adult. Perché l’astrazione rende le cose lontane dal mondo di oggi e facilita la metafora. Qui ci sono molti richiami al Nazismo e alla Seconda Guerra Mondiale: guardate soprattutto quegli elmi e quelle uniformi dei soldati di Capitol City, o quei treni su cui arrivano in città i “tributi”, che sembrano tanto quelli delle deportazioni. Questo rende il mondo di Hunger Games in qualche modo più vicino a noi, più tangibile. E questo ci fa più paura. Perché è qualcosa che l’umanità ha davvero vissuto.
Ed è proprio questo che ci lascia un po’ perplessi assistendo a questo Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente. Che è, certo, un film godibile e che intrattiene. Il fatto è che il tono ci sembra distante da quello che era la saga di Hunger Games. È più duro, più violento, molto più violento. Pur nella loro crudeltà, gli Hunger Games che avevamo visto finora erano più astratti, più “pop”. La competizione avveniva in campo aperto, in parte come uno sport, anche se si moriva. C’erano gli archi e le frecce di Katniss Everdeen. Qui invece siamo in una claustrofobica e fatiscente arena chiusa, e ci si uccide a mani nude, con coltelli, con lance, asce. Si viene impiccati. Tutto questo avrebbe anche un senso: siamo molti anni prima degli Hunger Games come li conoscevamo, subito dopo una guerra, in un mondo più primitivo, incattivito. In fondo questa, dai libri per arrivare ai film, è una saga young adult, quindi dedicata a un pubblico di giovanissimi. Se la saga cinematografica originale riusciva a sublimare in qualche modo la violenza e la morte, qui è tutto più esplicito, dichiarato. E per quel pubblico potrebbe essere troppo forte.
A non convincere è anche l’attrice principale. Rachel Zegler, la protagonista, è somaticamente agli antipodi di Jennifer Lawrence, che era la protagonista della saga originale. Minuta, dal viso spigoloso, i capelli corvini, la pelle ambrata, Rachel Zegler ha una voce strepitosa, che è una delle chiavi del suo personaggio. Ma ci sembra che sia continuamente in overacting, con troppe facce, troppe espressioni insistite. Accanto a lei, Tom Blyth è un Coriolanus Snow avvenente e affascinante. Il rapporto tra i due è sfaccettato, ambiguo. Ed è qualcosa che, molto probabilmente, continueremo a vedere nei prossimi film. Si esce dalla visione del film con alcune frasi impresse in mente. Una di queste, che racchiude tutto il senso degli Hunger Games e del film, è questa. “Sorridete… è per questo che abbiamo i denti”.
di Maurizio Ermisino
Questo slideshow richiede JavaScript.