Viene presentato oggi, come film d’apertura della XVIII edizione della Festa del Cinema di Roma, C’È ANCORA DOMANI per la regia di Paola Cortellesi.
Molto atteso dal grande pubblico della Festa, il film, scritto da Furio Andreotti, Giulia Calenda e dalla stessa Paola Cortellesi, è ambientato nella seconda metà degli anni ’40 a Roma ed è girato in bianco e nero.
Paola Cortellesi, attrice, sceneggiatrice, autrice, alla sua prima prova da regista cinematografica, ne è anche protagonista nei panni di Delia, accanto a Valerio Mastandrea che interpreta suo marito Ivano, a Emanuela Fanelli che è Marisa, l’amica e confidente di Delia, a Giorgio Colangeli che è nonno Ottorino e a Romana Maggiora Vergano nei panni di Marcella, la giovane figlia della coppia.
La fotografia del film è firmata da Davide Leone, i costumi sono di Alberto Moretti, la scenografia di Paola Comencini, il trucco di Ermanno Spera, il montaggio di Valentina Mariani, le musiche originali sono di Lele Marchitelli e si affiancano a una colonna sonora composta da brani di repertorio che vanno da canzoni d’epoca a contemporanee.
Sinossi
Delia (Paola Cortellesi) è la moglie di Ivano, la madre di tre figli.
Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni 40 e questa famiglia qualunque vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle.
Ivano (Valerio Mastandrea) è capo supremo e padrone della famiglia, lavora duro per portare i pochi soldi a casa e non perde occasione di sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre, direttamente con la cinghia.
Ha rispetto solo per quella canaglia di suo padre, il Sor Ottorino (Giorgio Colangeli), un vecchio livoroso e dispotico di cui Delia è a tutti gli effetti la badante. L’unico sollievo di Delia è l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), con cui condivide momenti di leggerezza e qualche intima confidenza.
È primavera e tutta la famiglia è in fermento per l’imminente fidanzamento dell’amata primogenita Marcella (Romana Maggiora Vergano), che, dal canto suo, spera solo di sposarsi in fretta con un bravo ragazzo di ceto borghese, Giulio (Francesco Centorame), e liberarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante.
Anche Delia non chiede altro, accetta la vita che le è toccata e un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui aspiri. L’arrivo di una lettera misteriosa però, le accenderà il coraggio per rovesciare i piani prestabiliti e immaginare un futuro migliore, non solo per lei.
Intervista Paola Cortellesi
“Come è nata l’idea del film e che cosa ti stava a cuore raccontare?”
“È nata dalla voglia di raccontare le storie delle persone che hanno vissuto nell’immediato secondo dopoguerra, storie che ho appreso dai racconti dai veterani della mia famiglia: le nonne, ma anche le zie, i miei genitori.
In quei racconti c’erano gioie e dolori delle vite che avevano incrociato: i parenti, i vicini di casa, le comari nel cortile, i bambini in strada. Storie drammatiche, divertenti, paradossali, a volte tragiche. In ognuna di esse c’erano donne comuni che avevano accettato una vita di prevaricazioni perché così doveva essere, senza porsi domande. Desideravo raccontare questa disillusione – in un’epoca in cui i diritti femminili erano pressoché inesistenti- e insieme la nascita di una consapevolezza, un germe spontaneo, nella vita di una donna qualunque.
Insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti, abbiamo immaginato la storia di una donna comune di quell’epoca.
“Che tipo di collaborazioni avete avuto in fase di documentazione e di scrittura?
“Abbiamo decisamente attinto dalle nostre conoscenze familiari ma trattandosi di una storia inserita in un contesto storico molto specifico ci siamo avvalsi della consulenza storica di Teresa Bertilotti, che ci ha messo a disposizione la sua conoscenza sull’ argomento. Sin da piccola, ho sempre immaginato le storie che mi raccontavano in bianco e nero, certamente influenzata dai film ambientati in quel periodo storico, molto amati in casa nostra: la grande produzione di cinema neorealista dell’epoca la commedia all’italiana poi. Nel mio film però mi piaceva fare riferimento al cosiddetto neorealismo rosa, che narrava fatti e personaggi realistici ma inseriti in un contesto romantico, in cui motore in fin dei conti era una storia d’amore (penso ad esempio a “Campo dei fiori” di Mario Bonnard, o “Abbasso la miseria!” di Gennaro Righelli). A questo proposito ho usato il formato 4/3 per la sequenza che apre il film prima dei titoli di testa; mi piaceva riprodurre, nei primi minuti del film, le atmosfere quel cinema, per poi “allargare” sia il formato che il discorso.
“Chi è la Delia che interpreti e come si sviluppa nel tempo il suo itinerario di redenzione?
“Delia è una donna piuttosto inconsapevole, come tantissime donne dell’epoca che non hanno mai potuto scegliere nulla della propria esistenza. Non ha ambizioni se non quella di un buon matrimonio per sua figlia (è incredibile che per molte famiglie e molte giovani, questo sia tutt’oggi ancora considerato un traguardo, un punto di arrivo); ma è proprio osservando Marcella che Delia capisce di dover rivoluzionare il corso, già delineato, delle loro vite.
“Come avete costruito il personaggio del dispotico Ivano, simbolo del maschilismo ottuso consolidatosi
durante il fascismo? C’è stata una costruzione comune con Valerio Mastandrea a livello creativo?”
In fase di soggetto, quando il personaggio non era ancora approfondito, avevamo immaginato un uomo che avesse anche nella fisicità, nei tratti, una durezza molto evidente ma andando avanti nella scrittura ci è venuto naturale sviluppare Ivano come un uomo comune, violento e a tratti spaventoso ma anche ignorante, goffo, ridicolo. Non un mostro dunque ma uno qualsiasi, che agisce in una “normalità” che prevede una abituale e indicibile violenza e prevaricazione. Per interpretare un ruolo così complesso era fondamentale un interprete che possedesse entrambi i registri e potesse usarli a volte quasi contemporaneamente. Valerio ha la capacità di rendere autentico tutto ciò che fa. Ha colto fin dal primo racconto le sfumature del personaggio e le ha sposate totalmente. In fase di preparazione poi, visto il mio duplice ruolo di regista e interprete abbiamo fatto tre settimane di prove con tutti gli interpreti, come accade abitualmente in teatro, e in quella fase il confronto con Valerio è stato per me irrinunciabile e prezioso.
“Come e perché hai scelto i tuoi attori, che cosa hai trovato in ognuno di loro che ti ha convinto a scritturarli?”
“Valerio, Giorgio, Emanuela, Vinicio, sono attori straordinari con cui tutti vogliono lavorare, quindi piuttosto che spiegare perchè li ho chiamati mi sentirei di ringraziarli per aver accettato di essere nel mio film! Grazie alle brillanti proposte delle casting Laura Muccino e Sara Casani poi ho potuto conoscere i giovanissimi Romana Maggiora Vergano (la figlia Marcella) e Francesco Centorame (il suo fidanzato Giulio). Sono stata folgorata dai loro provini e dalle loro sbalorditive doti attoriali. Hanno entrambi una preparazione eccellente e in più hanno un talento e una sensibilità fuori dal comune.
“Ricordi qualche momento della lavorazione che ti ha dato più soddisfazione e più emozioni?
“Ce ne sono stati tanti, è stato un set sereno e avvolgente, in cui ho avuto il piacere e la fortuna di poter condividere tutto con una troupe che ha avuto fiducia in me, che mi ha voluto bene e mi ha emozionato ogni giorno. Elettricisti, macchinisti, i reparti di fotografia, scenografia, costumi, trucco e acconciature, mi sono sempre stati tutti vicini, coinvolti e complici, creativi per ogni piccolo aspetto o dettaglio e hanno dato sempre il massimo. Il momento più emozionante è arrivato quando durante le riprese della sequenza finale ho proposto un fuori programma e ho chiesto a circa 300 generici di chiudere la bocca e serrare le labbra: lo hanno fatto nel migliore dei modi, con grande partecipazione emotiva. Mi hanno commosso… però non ho mica pianto sa, ho detto: “Bella! Ne facciamo un’altra”.
Intervista a Valerio Mastandrea
“Come sei stato coinvolto nel progetto del film?”
Lo sguardo che Paola ha scelto per trattare il tema del film è la scommessa più grande che potesse fare e sentire che potevo aiutarla mi ha lusingato. Credo che mi abbia voluto accanto nella sua opera prima per una ragione puramente antropologica. E cioè non perché mi consideri un attore particolarmente versatile e talentuoso ma semplicemente perché ridiamo nello stesso modo e delle stesse cose. Questo ci permette di
guardare e di stare dentro quello che facciamo come fanno due primati dello stesso gruppo. L’istinto alla leggerezza, che spesso fa scopa con la improvvisa pesantezza che uno riversa sui parenti più prossimi, è quello che matura chi, come noi, negli anni 90 in pieno edonismo post reganiano era inadeguato quasi a tutto per goffaggine, timidezza e chi più ne ha più ne metta. Insomma, la colpa della nostra presenza sulla scena italiana in tutti questi anni non è la nostra, ma di chi si sentiva molto più sicuro di noi negli anni della giovinezza.
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