Il regista presenta in concorso al Lido Io capitano, il racconto di un’Odissea contemporanea tra Collodi e Gomorra. Il film arriva in sala dal 7 settembre per 01 Distribution e verrà distribuito in lingua originale.
Matteo Garrone l’ha definita un’Odissea contemporanea, l’avventura epica di due cugini adolescenti, Seydou e Moussa, che dal Senegal attraverso il deserto prima, le prigioni della Libia e il Mar Mediterraneo dopo, inseguono un sogno chiamato Europa: lì forse potranno fare musica e firmare gli “autografi ai bianchi” o diventare promesse del calcio. Scritto da Garrone con Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso e Andrea Tagliaferri, Io capitano arriva in concorso alla 80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e spazza via ogni retorica, restituendo un’identità a chi ad ogni naufragio a largo delle nostre coste finisce per annegare nella conta straziante di sommersi e salvati. Il regista di Gomorra ha scelto il Senegal perché, spiega, “esistono tanti tipi migrazione, alcune dovute alla guerra, altre al clima, ma quella raccontata dal film è diversa ed è legata a quel 70% della popolazione africana composta da giovani che hanno accesso ai social e che quindi hanno una finestra costante sull’Europa. C’è il desiderio legittimo da parte loro di accedere a un futuro migliore e viaggiare così come noi da giovani volevamo scoprire l’America, con la differenza che noi potevamo prendere l’aereo, loro invece rischiano la vita”. Una profonda ingiustizia “a cui questi ragazzi faticano a dare una risposta, spesso si ritrovano a vedere coetanei che vanno in vacanza in Senegal mentre loro non possono venire in Europa con la stessa facilità. Raccontiamo un tipo di migrazione di cui si parla meno, legata ai giovani e al loro desiderio di scoprire il mondo”.
Il film si ispira ai racconti di chi ha realmente affrontato la traversata nel deserto e poi nel Mediterraneo, e inizia alcuni fa in un centro di accoglienza a Catania quando il regista si imbatte per la prima volta nelle storia di un ragazzo minorenne, Fofana Amara, che a quindici anni si era ritrovato nel bel mezzo del Mediterraneo a guidare una barca con 250 migranti a bordo senza saperlo fare. “Me la raccontò un mio amico e mi rimase impressa, mi dissero che quando arrivò in Sicilia, pur consapevole che sarebbe andato in carcere (sei mesi per la precisione) e non sapendo resistere all’orgoglio di avercela fatta, avrebbe urlato ‘Io capitano!’. Per anni questa storia mi è rimasta dentro, ma l’ho accantonata perché mi sentivo a disagio e in imbarazzo a entrare da borghese in una cultura non mia, rischiando di speculare per l’ennesima volta sull’immagine del migrante povero. Per questo ci ho messo del tempo prima di decidere di farci un film”. È a quel punto che Garrone incontra via Skype Fofana, che oggi vive in Belgio, fa il magazziniere, è sposato e ha dei bambini, e scopre che il finale di quella storia in realtà era molto diverso “quando è arrivata la guardia costiera tutti gli erano così grati che si misero a cercarlo, mentre lui tentava di mimetizzarsi. Non credeva di essere arrestato, li fecero scendere e lo misero in un angolo, credeva di essere stato messo di lato perché minorenne, alla fine invece si è fatto sei mesi di carcere”.
Il lavoro di documentazione è durato qualche anno, “sia in fase di scrittura che durante le riprese ci siamo affidati ai racconti di chi ha vissuto questa storia in prima persona”, come Mamadou Kouassi Pli Adama, attivista del Centro sociale ex Canapificio e del Movimento migranti e rifugiati di Caserta il cui contributo alla sceneggiatura è stato preziosissimo. Quel viaggio Mamadou lo ha fatto veramente quindici anni fa, oggi vive a Caserta: “Sono partito dall’Africa subsahariana, ho attraversato il deserto, sono stato in Libia per tre anni e alla fine sono arrivato in Italia. È un viaggio della speranza, e il racconto di Matteo è vero, reale. Sono orgoglioso di portare la voce di chi non ha voce, spero che un giorno ci sia anche per noi la possibilità di viaggiare liberamente, c’è bisogno come ha detto qualche giorno fa Sergio Mattarella di ripristinare canali di ingresso regolari, solo così si potrà frenare il traffico di esseri umani. Racconta la storia di ogni singolo immigrato”. Un racconto reale ma con molti risvolti fiabeschi, che arrivano da una vecchia idea di Garrone, quella di realizzare un “Pinocchio migrante. La favola di Pinocchio si sposa in maniera quasi naturale alla loro storia, quando Collodi scriveva non faceva altro che mettere in guardia i piccoli dalla violenza del mondo circostante. Anche il viaggio di Seydou nella sua purezza e ingenuità è quella di un ragazzo che insegue il paese dei balocchi. Molti momenti mi riportavano anche a Gomorra, un incontro tra due filoni che ho percorso: la parte più onirica serviva a raccontare la loro anima, i sogni, i sensi di colpa, il loro mondo interiore, l’altra è quella di un road movie attraverso l’Africa”. La struttura è quella del viaggio dell’eroe, con tutti i canoni del racconto epico e di avventura con il ritorno di Massimo Ceccherini come co-sceneggiatore dopo Pinocchio: “Io capitano è un grande racconto di avventura popolare, non ci sono sovrastrutture intellettuali e Massimo viene dal popolo a differenza mia che sono borghese. Quando scriviamo ha una conoscenza di certe dinamiche drammaturgiche, è puro come i bambini o come i personaggi che raccontiamo”.
di Elisabetta Bartucca
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