David Fincher ha da sempre esplorato la figura del serial killer, da Seven a Gone Girl, da Zodiac alla serie Mindhunter. E dopo l’eccellente parentesi di Mank, sulla vita dello sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, il regista americano ha deciso in qualche modo di tornare alle origini, al suo “interesse primario”. Però The Killer, presentato in concorso a Venezia 80 e in uscita a novembre su Netflix, pur inserendosi sulla scia segnata dalle precedenti pellicole, in realtà da esse si distanzia anche molto. Da una parte perché qui ci troviamo di fronte ad un personaggio che è un assassino per professione e non un folle omicida seriale; dall’altra perché in questo caso Fincher cambia il punto di vista, non più una narrazione incentrata su chi conduce le indagini ed è alla forsennata ricerca del criminale, bensì un racconto filtrato proprio dallo sguardo di quest’ultimo.
La sequenza iniziale del film è un’esplicita manifestazione di questo cambio di rotta narrativo. Di notte, a Parigi, vediamo subito il killer del titolo, interpretato da Michael Fassbender, attendere il momento giusto per uccidere il suo bersaglio. Lo vediamo fare esercizi, resistere al sonno, studiare la situazione. Solo, stanco, nella penombra di un ufficio semiabbandonato. Lo osserviamo nella sua metodica estrema, chiuso nei meccanismi automatici del suo lavoro. E soprattutto lo ascoltiamo. La sua voce, fuori campo, è un interminabile flusso di coscienza, un trattato esistenziale sulla natura del killer, sulla sua professione, sulle regole che deve seguire.
E’ una vera e propria immersione nella mente dell’assassino quella che conduce Fincher nella primissima parte del film, dove la narrazione è totalmente statica e, così come lo stesso protagonista, lo spettatore attende pazientemente di entrare nel vivo dell’azione. Azione che inizia nel momento in cui il killer sgancia il suo colpo e sfortunatamente sbaglia bersaglio. Da lì il film prende una nuova piega, dopo poco si instrada sul revenge movie e, seguendo una narrazione episodica, fatta di sei capitoli ed un epilogo, vede il sicario senza nome fronteggiare le conseguenze del suo errore.
E’ una trama molto esile quella di The Killer, basato sulla graphic novel di Alexis Nolent. Un racconto semplice, senza troppe trovate, che solo la mano esperta di Fincher poteva mettere in scena riuscendo ad ottenere un prodotto comunque intrigante.
Un film di mestiere, di pregevole confezione, con un Fassbender impeccabile nei panni di questo killer asettico, silenzioso ed impassibile, ma in fondo un’opera che non aggiunge molto né alla filmografia del regista né tantomeno al genere. Non il miglior Fincher insomma, ma in ogni caso un film godibilissimo che trova il suo momento più alto nell’incontro tra il killer e la “collega” Tilda Swinton. Una sequenza che vale il prezzo del biglietto.
di Antonio Valerio Spera
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