A Venezia il regista Stefano Sollima presenta in concorso l’ultimo capitolo di una trilogia sulla Roma criminale iniziata con la serie di Romanzo Criminale. Un gangster movie decadente, quasi crepuscolare.
La fine di un mondo criminale e il tramonto di tre vecchi gangster in una Roma sempre più schiacciata dal caos, soffocata dal caldo, corrotta, confusa e sommersa dalla ceneri di un incendio perenne. Con Adagio in concorso alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Stefano Sollima conclude la sua trilogia sulla Roma criminale iniziata con Romanzo criminale nel lontano 2008, un film decadente, un commiato per chiudere un cerchio, e in un certo senso anche una riconciliazione. “Alcuni degli elementi drammaturgici e visivi del film come gli incendi e i blackout continui potrebbero sembrare distopici, ma vivendo a Roma non lo sono affatto. Dietro Adagio c’è un atto di amore verso una città che mi era mancata, volevo tornare a raccontarla e come sempre l’ho trasfigurata. Mentre scrivevamo ci sono stati diversi incendi e blackout, sono successi davvero”, racconta il regista. La storia questa volta è quella di Manuel (Gianmarco Franchini), un ragazzo di sedici anni che finisce a una festa per scattare delle foto da consegnare in cambio di soldi a dei carabinieri (Francesco Di Leva e Lorenzo Adorni) guidati da Vasco (Adriano Giannini). Sentendosi raggirato decide di scappare ma si ritrova inseguito dai ricattatori che si riveleranno estremamente pericolosi e determinati a eliminare uno scomodo testimone. A quel punto Manuel si vedrà costretto a chiedere la protezione a due ex-criminali, Cammello (Pierfrancesco Favino) e Polniuman (Valerio Mastandrea) vecchie conoscenze del padre, Daytona (Toni Servillo), un anziano smemorato (o almeno così pare).
“Daytona fa una recita nella recita – spiega Servillo, alla sua prima volta sul set con Sollima insieme a Mastandrea e alle prese con il romanesco- Sono personaggi criminali che hanno vissuto entro certe regole che intendono rispettare fino alla fine sapendo di andare a sbattere contro un destino inevitabile. Daytona non viene mai meno alla voglia di giocarsela”. Torna invece il sodalizio con Favino, che qui interpreta Cammello: “Lavorare con Stefano è sempre un bel gioco di invenzione, essere nei suoi film vuol dire occupare lo spazio con il corpo in maniera diversa e poter giocare con le inquadrature. L’idea era quella di costruire un personaggio quasi grafico, frutto di certi fumetti degli anni ‘70. – racconta l’attore – Cammello è come quei cani randagi nella polvere abbandonati in un angolo dove vanno a morire in solitudine, quando improvvisamente bussa inattesa alla porta una guerra antica che ti fa risentire quasi l’energia giovanile di quell’adrenalina, il richiamo di un mondo per me negativo, ma che per chi ne fa parte vuol dire valere ancora qualcosa”. E non ha dubbi nel definire Sollima “un regista punk”, perché nei suoi film “non esiste un Dio, non c’è redenzione”.
Un sottobosco di ex membri della Banda della Magliana, che però non ha nessun legame con la serie Romanzo criminale: “Lì raccontavo la nascita di una banda, qui la decadenza del crimine, di tre vecchie leggende che vivono ai margini. L’appartenenza alla banda è l’unico elemento di unione, ma serve solo per dare ai personaggi una passato mitologico, quindi per una funzione esclusivamente narrativa. È un film quasi sentimentale, intimo”, conclude il regista.
Photo Credits_Emanuela_Scarpa
di Elisabetta Bartucca
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