“Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane”. Inizia con questa citazione dello scrittore Lamartine la nuova nerissima favola cinematografica firmata da Luc Besson. Presentato in concorso a Venezia 80, Dogman è un film che convince, commuove e diverte, restituendoci un autore in ottima forma. Protagonista è Douglas, ennesimo “cast away” della società della filmografia del regista, un ragazzo che, dopo un violento passato familiare, vive esclusivamente dell’amore per i suoi cani. E’ lui stesso a raccontare la sua vita, incalzato dalle domande di una giovane psichiatra criminologa, chiamata a decifrare l’enigmatico uomo, vestito da donna e costretto su una sedia a rotelle, appena arrestato dalla polizia.
Col procedere del racconto, si scopre gradualmente la storia e la psicologia di questo personaggio, le terribili violenze subite, la sua esistenza simbiotica con i cani, il suo amore per il canto e la recitazione, la sua condotta criminale. E da grande narratore e da minuzioso esploratore dell’animo umano qual è, Besson ci immerge completamente nel suo mondo, tanto assurdo e surreale, quanto pregno di emozioni vere.
Con la sua solita poetica ipercinetica, il regista di Nikita e Il quinto elemento costruisce un cupo e adrenalinico divertissement su una sceneggiatura, firmata da lui stesso, riempita in modo esagerato di tematiche e situazioni. C’è ovviamente l’elemento cinofilo, c’è l’analisi della sofferenza, ma ci sono anche l’amore non corrisposto, la disabilità, il mondo delle drag queen, Edith Piaf e un forte spiritualismo di fondo, tipico del suo cinema. E sebbene questo possa rappresentare un difetto del film, è in realtà il suo vero punto di forza. Dogman infatti si fa apprezzare soprattutto per questa sua natura sconclusionata, per la totale libertà espressiva e narrativa che si concede l’autore, senza paura di esagerare e di mettere troppa carne al fuoco. Besson a tratti strizza l’occhio al cinema orientale, a tratti sembra ricalcare il Joker di Todd Phillipps; alterna violenza e misticismo; passa dall’horror al dramma psicologico. E lo fa riuscendo a non perdere mai la bussola del racconto: tutto è folle, ma è anche tutto assolutamente coerente.
Ad impreziosire ancora di più il film, è l’intensa interpretazione di Caleb Landry Jones. L’attore statunitense, che due anni fa vinse la Palma d’Oro a Cannes per Nitram di Justin Kurzel, è perfetto nel tratteggiare le scivolose sfumature del suo personaggio, in costante bilico tra dolcezza e cattiveria. Una performance estremamente fisica, dolorosa, che conferma il grande talento di Jones e che lo candida alla vittoria della Coppa Volpi qui a Venezia.
di Antonio Valerio Spera
Photo Credit: @MatteoMignani per DailyMood.it
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