Inizia in un tempo lontano lontano Transformers: Il risveglio, il nuovo film della saga, al cinema dal 7 giugno. Ma poi ci troviamo nella New York del 1994, nei quartieri dove vivono le famiglie di origine latinoamericana e le ragazze afroamericane. Sono gli anni in cui l’orgoglio black comincia a farsi sentire, con le rivolte nelle strade e con le opere d’arte come i film di Spike Lee. Così assistiamo alla storia Noah Diaz (Anthony Ramos), un ragazzo di origini sudamericane, che ascolta i De La Soul e i Wu Tang Clan. Vive con la madre e con il fratellino malato, ed è alla ricerca di un lavoro che non riesce a trovare dopo essere stato nell’esercito, dove la sua storia non era finita troppo bene. Un suo amico lo porta su una cattiva strada, e, mentre cerca di scassinare una Porsche, si trova dentro a un Transformer, l’empatico Mirage. Elena Wallace (Dominique Fishback), quando ha paura canta Waterfalls delle TLC e lavora in un museo archeologico a Ellis Island. È afroamericana, è quella che lì dentro ne capisce più di tutti, ma i sui capi la trattano come l’ultima ruota del carro. Il riscatto, per entrambi, sta per arrivare. Quando Noah sale su quella Porsche. E quando Elena si trova tra le mani un’antica statua di un’aquila, che sembra arte nubiana o egizia, ma che ha dei segni che non sono geroglifici. Come potete immaginare, Noah ed Elena si troveranno a conoscere i Transformers…
Transformers: Il risveglio è ovviamente una serie interminabili (e anche spettacolari) lotte tra robot). Ma, come diceva quella canzone, c’è anche l’elemento umano nella macchina. Ci sono delle storie più intime che, all’interno di un blockbuster, riescono comunque a trovare il loro spazio. Elena, messa sempre in secondo piano dai suoi superiori, troverà il modo di essere protagonista, di fare la scoperta che farà risaltare le sue doti. Per una ragazza come lei, insicura, sottovalutata, l’incontro con i Transformers vorrà dire questo. Noah non trova lavoro perché non sa far parte di un team, dicono. Alla fine di questa storia imparerà davvero a lavorare in squadra, una squadra molto particolare. Dentro al film con i giocattoloni, che piacerà sicuramente ai bambini, ci sono anche storie “umane” che puntano ad essere commoventi: la famiglia di origini latine in difficoltà e con il percorso di autodeterminazione di una giovane donna.
Il nuovo Transformers è un nuovo inizio della saga, e cambia alcune cose rispetto al famoso Transformers di Michael Bay del 2007. Lì c’erano attori famosi o star in piena ascesa, come Shia LaBeouf e Megan Fox, bellissimi e quotati. Qui si è scelto di lanciare attori ancora poco conosciuti. Anthony Ramos ha un volto interessante e acerbo, ed è però perfetto per rappresentare l’insicurezza del suo personaggio. Dominique Fishback, che avevamo visto e ammirato in Judas and the Black Messiah è una vera sorpresa: bellezza fuori dai canoni, presenza intensa ed empatica, volto dolce e una grinta da vendere. Ma, soprattutto, quello di Elena è il primo ruolo femminile scritto in maniera approfondita, sfaccettata del franchise di Transformers. Dove c’era Megan Fox oggi c’è lei, ed è un segno dei tempi.
E dove c’era Michael Bay ora, alla regia, c’è Steven Caple Jr., il regista di Creed II. Bay aveva fatto bene soprattutto nel primo film, in cui c’era tanto Spielberg, il suo stupore, il senso di meraviglia (Spielberg era il produttore e lo è anche qui). Nei film seguenti tutto si era un po’ perso. Qui i toni alla Spielberg ci mancano, ma c’è almeno il tentativo di far ripartire la saga con qualcosa di nuovo. Nuovi volti e nuovi temi, un tocco di Black Lives Matter. Poi, ovviamente, si torna agli interminabili combattimenti tra robot. Anche tra loro c’è una novità, i Maximal, che hanno la forma di animali (aquile, gorilla, felini) e che abitano la Terra dalla notte dei tempi. Rispetto a loro, noi umani ci sentiamo piccoli e solo di passaggio. Ma, come ci insegna il film, possiamo riprendere in mano le nostre vite.
di Maurizio Ermisino
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