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AIR – La storia del grande salto: come nacquero le Air Jordan e l’impero della Nike

AIR – La storia del grande salto: come nacquero le Air Jordan e l’impero della Nike

Una scarpa è solo una scarpa. Finché qualcuno non la indossa”.  È una battuta – una delle tante battute di uno script brillante – che racchiude il senso della storia che viene raccontata in AIR – La storia del grande salto, il nuovo film di Ben Affleck solo al cinema da giovedì 6 aprile distribuito da Warner Bros. Pictures. Nel cast ci sono Matt Damon, Ben Affleck, Jason Bateman, Chris Tucker, Chris Messina, Marlon Wayans, Viola Davis, Matthew Maher e Julius Tennon. Matt Damon è un manager della Nike, Sonny Vaccaro, la mente, il cuore e la forza di volontà dietro l’incredibile e rivoluzionaria partnership tra un giovane Michael Jordan e la nascente divisione dedicata al basket della Nike, capace di rivoluzionare il mondo dello sport, quanto la cultura contemporanea, con il lancio del marchio Air Jordan.  Al centro del film ci sono una squadra non convenzionale che, con in gioco il proprio futuro, compie una scommessa decisiva, e la visione senza compromessi di una madre che conosce il valore dell’immenso talento di suo figlio e il fenomeno del basket, diventato poi il più grande di tutti i tempi.

In quegli anni andavano di moda le Adidas. Le indossavano i rapper, le sfoggiavano orgogliosi i ragazzi che facevano la breakdance. I Run Dmc, all’epoca i più grandi esponenti della musica rap, ci avevano addirittura dedicato una canzone. Le scarpe delle star del basket erano le Converse, e nessuno credeva davvero che una stella nascente della pallacanestro avrebbe firmato un contratto come testimonial per la Nike. Le Nike, allora, erano le scarpe da jogging. “E i neri non fanno jogging, perché la gente penserebbe che corrono dopo aver rubato qualcosa”, come dice con uno humour sarcastico uno dei personaggi del film. Chi avrebbe davvero immaginato che Michael Jordan avrebbe potuto firmare per un brand come la Nike.

E invece un uomo, un uomo comune, nemmeno sportivo, come Sonny Vaccaro; (interpretato da un mimetico Matt Damon, nascosto dietro tutti i toni del grigio) ci pensa. E trova la chiave. La trova guardando lo spot di una racchetta da tennis di in tv. Si chiama “Io e la mia Head” e un noto tennista spiega come la ditta ha costruito su misura la racchetta per lui. E allora ecco la grande idea per convincere Michael Jordan. Lui non indossa la scarpa, lui è la scarpa. E la scarpa è lui. Si tratta di costruire il prodotto su misura per un atleta, in modo che l’identificazione tra brand, prodotto e personaggio sia totale. Una scarpa studiata attorno all’atleta, ma rivolta al mercato di massa.

Dovrà essere la più bella scarpa mai vista sul mercato. E dovrà essere la scarpa che piacerà anche al di fuori del mondo del basket. Ci dovrà essere del rosso, molto rosso, perché Michael Jordan ha firmato per i Chicago Bulls, e quello è il colore dominante delle divise della squadra. Certo, c’è un problema: le regole della NBA dicono che il 51% della scarpa deve essere bianco, e allora più di tanto il rosso non dovrebbe essere presente. Ma chi se ne frega: la Nike, in caso, pagherà le multe della lega verso Jordan.

Ma quelle scarpe sono speciali anche perché Peter Moore (Matthew Maher). direttore creativo della Nike, ha progettato un sistema con dei cuscinetti d’aria nelle suole, che facilitano i salti e attutiscono gli atterraggi. Stava pensando di chiamare le scarpe “Air Sole”. Ma suona male. E gli viene in mente che il nome “Air Jordan” non suona affatto male. Un’intuizione non da poco. Così come quella, pensata un anno dopo il lancio della scarpa, di sostituire il logo con una figura stilizzata di Jordan che si libra in volo e sembra restare sospeso. La scarpa si chiama Air Jordan, e il campione sembra davvero, in ogni azione e in quell’immagine iconica, sfidare l’aria, restando in volo per secondi che sembrano interminabili, ogni volta che salta per andare a canestro.

Ma per trovare l’accordo con Michael Jordan sarà decisivo un aspetto. Sarà la madre (Viola Davis) a chiederlo, ma l’atleta dovrà percepire una percentuale su tutte le scarpe vendute con il suo nome. Non si tratta solo di un fatto di soldi. Ma del fatto di credere in se stesso, di credere che potrà diventare il numero uno, e che la Nike, in questo modo, riconoscerà il suo valore e la sua voglia di migliorarsi. Per la Nike sembrava un affare temerario. Eppure avrà ragione. Il primo anno le Air Jordan faranno guadagnare al marchio di articoli sportivi 162 milioni di dollari. Ancora oggi, Michael Jordan guadagna 400 milioni di dollari l’anno solo dalla vendita di queste scarpe, richiestissime anche dopo che ha lasciato il basket. Per la cronaca: la Nike ha poi acquisito la Converse, nel 1996. Tutta questa storia è raccontata da un film spassoso, costantemente sopra le righe, con grandi attori e grande musica. È il film da vedere al cinema in questi giorni.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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