“Dick Laurent è morto”. E il cinema di David Lynch è più vivo che mai. Strade perdute, il suo capolavoro del 1996, torna dal 16 al 18 gennaio nelle sale restaurato in 4K da The Criterion Collection con la supervisione del regista, nell’ambito del progetto Il cinema ritrovato della Cineteca di Bologna. Strade Perdute, dopo un prologo, una fuga notturna in soggettiva lungo una strada senza fine sulle note di I’m Deranged di David Bowie, inizia con queste parole, “Dick Laurent è morto”, che qualcuno mormora al citofono della villa del protagonista.
Inizia così un incubo, un viaggio, una “fuga psicogena”. Ci sarà una strada, come quella di Cuore selvaggio e Mulholland Drive. È una strada tortuosa, quella di un racconto che parte tra le mura domestiche, come sempre in Lynch inquietanti e ricche di inside. Una coppia, Fred e Renee Madison (Bill Pullman e Patricia Arquette) vive di inquietudini, cose non dette, gelosie. Anche il sesso è inquietante e malato. All’improvviso cominciano a ricevere delle videocassette che riprendono la loro casa dall’esterno e poi dall’interno. Fred viene accusato di aver ucciso Renee e viene arrestato. Ma, una volta in carcere, si trasforma in un altro uomo, Pete Dayton. Scarcerato, incontra una donna bellissima. Si chiama Alice. È bionda, ed è identica a Renee. Pete non può fare a meno di innamorarsi di lei. Ma è la pupa di un gangster, il Signor Eddie.
Ma chi è l’autore di quelle cassette? Forse è un uomo o forse è una presenza sovrannaturale. È uno sguardo superiore, la propria coscienza, o è l’inconscio che non rimuove ciò che il conscio ha rimosso. Forse il deus ex machina è l’Uomo Misterioso, un essere dalla pelle diafana e dal sorriso beffardo che Fred incontra a una festa, in una sequenza straniante e carica di tensione. Ma è ogni momento, in Strade Perdute, a provocarci dei brividi. Basti pensare alle scene nella casa dei Madison, attimi che sono la quintessenza del cinema di Lynch, della sua capacità di addentrarsi nei meandri del nostro inconscio, nelle stanze segrete delle nostre vite. Con quei in movimenti di macchina in avanti, accompagnati da suoni sinistri, un suo marchio di fabbrica, David Lynch riesce a scuoterci fin nelle viscere, a farci provare sensazioni forti, disturbanti. Quella casa in cui veniamo gettati, con quei rumori paurosi che si insinuano nel silenzio, sembra infinita.
Ma è proprio quando usciamo da quella casa che esplode un altro marchio di fabbrica del cinema e della serialità di David Lynch: quello del doppio. Fred apprende da una ripresa video di aver ucciso la moglie, cosa che aveva rimosso, come Leland Palmer in Twin Peaks apprendeva da altri di aver ucciso la figlia. Ma se nel serial televisivo Lynch giustificava la schizofrenia, la personalità dissociata, con la possessione da parte di uno spirito, qui tende a proporla senza facili spiegazioni, semplicemente sostituendo un uomo con un altro. E, mostrandoci la storia dal punto di vista del protagonista, propone nella seconda parte tutta una serie di doppi: Fred Madison/Pete Dayton, Renee/Alice, Dick Laurent/Signor Eddie.
In questo senso Patricia Acquette, sensualissima ed enigmatica, rende Renee e Alice diverse, pur essendo la stessa persona, facendoci pensare a La donna che visse due volte. È come se Strade perdute esplicitasse completamente le ossessioni e l’attrazione tra i protagonisti del film di Hitchcock, oltre che l’idea del pericolo e della morte. Il rimando alla pellicola hitchcockiana ricorre spesso nella carriera di David Lynch: pensiamo a Laura Palmer che ritorna mora nel personaggio di Maddy, o a Rita di Mulholland Drive che cambia identità e diventa bionda. Nel suo cinema ricorrono tanti temi che sono al centro di Strade perdute: una donna da un passato misterioso, una nuova vita, la rimozione di una colpa.
Proprio la rimozione può essere chiave di lettura del film: una persona che non regge al peso delle sue azioni tenta di immaginarsi una vita migliore, immagina un altro se stesso più giovane e virile, con una donna che lo vuole sempre accanto a sé. Ma anche questa vita immaginaria prende una strada sbagliata, lui finisce per commettere gli stessi errori, forse per i sensi di colpa, forse perché è impossibile fuggire da se stessi. È la stessa cosa che capita a Diane/Betty di Mulholland Drive, il cui sogno, anche questo una fuga dalla responsabilità di aver ucciso la sua amante, occupa tutta la prima parte del film. Che potrebbe essere anche montata dietro alla seconda, proprio come accade per Strade perdute. È un film dalla struttura circolare, come l’anello di Moebius, che, compiendo un giro, torna su se stesso. Così la fine della storia è anche l’inizio. Quella frase, “Dick Laurent è morto” apre e chiude il film. È come essere in un girone dantesco, come se fossimo intrappolati in una coazione a ripetere le stesse azioni all’infinito, nell’impossibilità di espiare le nostre colpe.
In quel lontano 1996 Strade perdute segnò una continuità e una frattura con il precedente cinema di David Lynch. I riferimenti a Cuore Selvaggio (la violenza efferata, la strada) e a Velluto blu (la paura che irrompe nel quotidiano, i momenti idilliaci nel giardino di casa di Pete) sono evidenti. Ma con questo film David Lynch inizia a sfidare la logica, la forma racconto, non preoccupandosi di presentare opere che siano perfettamente intelligibili. Se i suoi film precedenti erano dei racconti lineari – per quanto possa esserlo il cinema di Lynch e potevano essere inseriti comunque in un genere, come il film drammatico (Elephant Man), il noir (Velluto blu) e il road movie (Cuore Selvaggio), da Strade Perdute (eccezion fatta per Una storia vera) i film di Lynch diventano un genere a sé.
Strade Perdute nasce dalla frase “Lost Highway” (che è il titolo originale del film), che un personaggio diceva in un racconto di Gente di notte di Barry Gifford, e in cui Lynch ha trovato “qualcosa di onirico”. La frase “Dick Laurent è morto” è stata pronunciata davvero al citofono di casa Lynch. Ma a darci il senso del cinema di David Lynch, in Strade Perdute, ci sono altre due frasi. “A casa tua…sono lì in questo istante…chiamami” dice l’Uomo Misterioso a Fred quando lo incontra per la prima volta a una festa. E dimostra come il “qui e ora” in Lynch non ha senso di esistere. “Preferisco ricordare le cose a modo mio…come le ricordo, non necessariamente come sono avvenute” sentiamo dire da Fred alla polizia. In questa frase c’è tutto il cinema di Lynch: la soggettività, l’esplorazione interiorità, che nasce dalla sua passione per la meditazione, la sua logica personale. Non so se ricordiate le cose a modo vostro, e che cosa ricordiate di Strade perdute. Ma questo ritorno in sala è l’occasione per rivedere questo grande film. E per perdervi nel buio, lungo le strade di David Lynch.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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