“L’amore non basta. Devi lottare per proteggere la gentilezza”. È uno dei messaggi che ci manda Amsterdam, presentato alla Festa del Cinema di Roma e in uscita al cinema dal 27 ottobre. È il nuovo film di David O. Russell, con un cast strepitoso in cui spiccano Christian Bale, Robert De Niro e Margot Robbie, diretti da un regista che teniamo d’occhio da quando abbiamo visto il suo irresistibile American Hustle. L’amore è qualcosa che ha a che fare con il rapporto tra i tre protagonisti, un medico (Christian Bale), un’infermiera (Margot Robbie) e un avvocato (John David Washington), che si trovano legati dal dolore della guerra e da affinità elettive alla fine della Prima Guerra Mondiale, e trovano ad Amsterdam una sorta di paradiso, in cui dare vita a un sodalizio tra Jules et Jim e The Dreamers. La gentilezza è quella che va protetta in un mondo in cui pochi vogliono soverchiare i molti, in cui la prepotenza di chi vuole instaurare una dittatura è sempre in agguato. Perché la Storia tende a ripetere se stessa. Ed è per questo che l’attenzione va tenuta molto alta. Ma vediamo come David O. Russell ci ha raccontato tutto questo.
Amsterdam, di David O. Russell, è ambientato tra la Prima Guerra Mondiale e gli anni Trenta, tra Europa, il fonte belga e la città che dà il titolo al film, e l’America, cioè New York. Un medico (Christian Bale), un’infermiera (Margot Robbie) e un avvocato (John David Washington) sono testimoni di una morte, che sembra accidentale ma non lo è, e ne diventano i sospettati. Ma la regia vorticosa di Russell ci porta indietro nel tempo, ai tempi della Prima Guerra Mondiale e della nascita della loro amicizia, per poi tornare in America, negli anni Trenta, e scovare i primi semi del nazismo. C’è un complotto, e va sventato. E, che ci crediate o no, tutto questo è tratto da una storia vera.
Avete già letto i nomi dei tre protagonisti. Ma sono solo la punta dell’iceberg di un cast stellare che ha annovera Michael Shannon e Robert De Niro, Zoe Saldana e Taylor Swift, Anya Taylor-Joy e Andrea Riseborough, Rami Malek e Matthias Schoenaerts, Mike Myers e Chris Rock, Timothy Olyphant e Alessandro Nivola. Ve li abbiamo nominati tutti per un motivo ben preciso. David O. Russell, un regista che, dopo i suoi successi, a Hollywood probabilmente può tutto, si è potuto permettere un cast all star e lo sa benissimo. E così, a ogni inquadratura, non smette di sottolinearlo. Pur senza forzare la cosa, è come se fossimo a teatro, e lanciasse l’entrata in scena di ognuno dei suoi attori con un movimento improvviso, con un loro sguardo, con un’inquadratura. Come se fossimo seduti in platea e, a ogni ingresso, dovessimo sobbalzare. Russell fa un gioco molto particolare: inquadra spesso di suoi personaggi dal basso verso l’alto, dando loro un senso di alterità, di imponenza, e li illumina di una luce dorata, come se fossero usciti da una rivista patinata d’altri tempi.
David O. Russell – chi ha visto i suoi American Hustle, Il lato positivo e The Fighter, lo sa – è un regista che, come pochi altri, sa spingere gli attori oltre i propri limiti e farli rendere al massimo. Riesce a tirare fuori dai suoi attori sempre un qualcosa in più, una recitazione sopra le righe ma non troppo, a farli toccare un registro che non è mai comico, ma dal drammatico e dal realistico riesce a “suonare un tono sopra”, rendendo il tutto straniante, potente, ad effetto.
Tra tutti gli attori, in particolare, spiccano due fuoriclasse. A David O. Russell, evidentemente, piace vincere facile. Parliamo di Christian Bale e Robert De Niro, che lavorano in modo opposto. Christian Bale fa il suo solito lavoro incredibile sul corpo. Per Russell era ingrassato di venti chili per American Hustle, e poi era deperito, perdendone evidentemente altrettanti, per The Fighter. Qui è ancora una volta smunto, emaciato, e gioca con il suo occhio vero come se avesse un occhio di vetro. È un personaggio schizzato, stordito e alienato dai farmaci, quegli antidolorifici che sono indispensabili per lenire i dolori fisici che le ferite di guerra ancora gli procurano. È ancora una volta una performance estrema, fisica, da trasformista. Tutto il contrario di quella di Robert De Niro che non ha bisogno di alcuna trasformazione. Semplicemente, “è” De Niro. Ma è forse il De Niro migliore degli ultimi anni. E va dato atto a David O. Russell (qui e ne Il lato positivo) di aver saputo valorizzare De Niro come pochi altri. Guardate i titoli di coda, quando appare il vero personaggio a cui l’attore si è ispirato. E capirete il grande lavoro che ha fatto.
Ma non è tutto oro quel che luccica, in Amsterdam, anche se di luci dorate è ammantata la scena. David O. Russell, che nei suoi American Hustle, The Fighter e Il lato positivo aveva raggiunto livelli molto alti, stavolta non fa però centro come negli altri film. È probabilmente colpa di un’ambizione sfrenata, di una bulimia che gli fa mettere nel suo film troppe cose. Troppi dialoghi, troppe canzoni, toppe divagazioni. C’è un continuo gioco a sorprendere lo spettatore (vedi il sottofinale, dove mette in scena un’azione immaginata, e poi torna indietro per mostrarci la realtà). Ma tutto è terribilmente lungo, estenuante, e fa in qualche modo uscire lo spettatore dal film. Tutto questo prima di arrivare al cuore della storia, all’ultima mezz’ora, in cui capiamo di cosa si parla, e che ci sono in ballo la libertà, la democrazia, i diritti fondamentali delle persone. Eppure, quando tutto questo arriva, siamo già fuori dalla storia. Ci godiamo De Niro, certo, ma emotivamente non siamo coinvolti, a differenza di altri film di Russell. Amsterdam è un film roboante, vorticoso, rumoroso, che abbaglia gli occhi, ma raramente arriva al nostro cuore.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it
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