E anche questa Mostra di Venezia è terminata. Con le solite sorprese finali, qualche piccola immancabile polemica e una (meritata) soddisfazione italiana.
La giuria presieduta da Julianne Moore ha spiazzato tutti. Fino a qualche ora prima della cerimonia di chiusura sembrava non ci fossero dubbi: il Leone d’Oro era di No Bears di Jafar Panahi, regista nuovamente in carcere in Iran, accusato di propaganda contro il regime. Un film bellissimo, che ha emozionato e unito nel giudizio pubblico e critica e che sembrava destinato alla vittoria.
Per chi ha seguito il festival, la sfida era soltanto con un altro titolo, e cioè Saint-Omer di Alice Diop, la documentarista franco-senegalese per la prima volta alle prese con un’opera di finzione. E infatti questi due film sono entrati nel palmares, ma ad avere la meglio è stato un inaspettato terzo “incomodo”, All The Beauty and The Bloodshed di Laura Poitras, documentario incentrato sulla figura della fotografa Nan Goldin. La regista premio Oscar nel 2015 per Citizenfour si è aggiudicata a sorpresa il Leone d’Oro e, dopo le vittorie di Chloé Zhao e di Audrey Diwan, per il terzo anno consecutivo è una donna a trionfare al Lido.
Se a questo aggiungiamo che Saint-Omer alla fine ha ottenuto il Gran Premio della Giuria, quindi il secondo premio per importanza del palmares, non si può non affermare che questa sia stata un’edizione segnata dallo sguardo femminile.
Ed è proprio sul film della Diop che però è nata la polemica. O meglio, sui premi che le sono stati assegnati. Saint-Omer si è infatti aggiudicato anche il premio De Laurentiis per la miglior opera prima. Il problema non è nel merito del riconoscimento ma risiede altrove e cioè nel regolamento della Biennale, che considera ancora opere prime soltanto gli esordi nel cinema di finzione. Ma in un’epoca in cui ormai il documentario è considerato alla stregua del cinema di finzione, dove il cinema del reale ormai partecipa (e vince) nei concorsi ufficiali dei festival generalisti di tutto il mondo (e la vittoria di Laura Poitras ne è la dimostrazione), può una regista che ha alle spalle sedici anni di carriera nel cinema documentario considerarsi un’esordiente? Il direttore Barbera dovrà fare i suoi ragionamenti e – speriamo – mettere mano al regolamento.
Se il film della Diop si è portato a casa due premi, la “doppietta” è stata fatta anche da The Banshees of Inisherin di Martin McDonagh e Bones and All di Luca Guadagnino – in barba al regolamento che non lo permetterebbe (è stata chiesta una deroga). Il film dell’irlandese ha vinto per la miglior sceneggiatura ed è valso la Coppa Volpi a Colin Farrell, mentre il teen horror dell’italiano si è aggiudicato il Leone d’Argento per la miglior regia e la protagonista Taylor Russell ha vinto il premio Mastroianni come giovane rivelazione. Finalmente una bella soddisfazione per Guadagnino, i cui film avevano sempre diviso la Mostra e che invece adesso si è preso la sua meritata rivincita.
La miglior interprete femminile è stata, ovviamente, Cate Blanchett, straordinaria in Tar di Todd Field. E No Bears di Panahi? Come detto è entrato nella lista dei vincitori, ma si è dovuto accontentare del Premio Speciale della Giuria, accolto con una standing ovation dal pubblico presente alla cerimonia.
Qualcuno ha storto il naso per le scelte di Julianne Moore e della sua giuria. Ma in fondo i verdetti a sorpresa, che si sia d’accordo o meno, aggiungono sempre un po’ di brio alla fine di una manifestazione cinematografica. Anche questo è il bello dei festival, è il bello di Venezia. Al prossimo anno, con altissime aspettative per l’80esima edizione.
Photo Credits: @MatteoMignani per DailyMood.it
di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it
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