Se il buongiorno si vede dal mattino, questa Venezia 79 sarà da ricordare a lungo e da segnare nell’albo delle migliori edizioni di questa manifestazione. Perché se il mastodontico programma messo su dal direttore Alberto Barbera, già sulla carta, sembrava promettere scintille, dopo i primi due giorni di festival possiamo tranquillamente affermare che le aspettative non sono state disattese.
Ma prima di passare ai film, è giusto sottolineare un aspetto: anche la Mostra del cinema è tornata alla “normalità”. Il red carpet non è più nascosto da un muro, i giovani si accampano accanto al tappeto rosso sin dalle prime ore del mattino per avere un posto prima fila e farsi un selfie con le star, giornalisti e appassionati arrivano da tutto il mondo e le serate sono di nuovo animate da party e dj set. Insomma, al Lido si è tornati a respirare l’aria del grande evento internazionale. Ottimo punto di partenza, quindi, per una manifestazione arrivata sì alla sua 79esima edizione ma che quest’anno si ritrova anche a festeggiare una ricorrenza importante, e cioè il 90esimo anniversario dalla sua nascita.
Ricorrenza per ora festeggiata a dovere anche con il cinema, anzi soprattutto con il cinema. Perché se quest’inizio è stato caratterizzato dai continui problemi tecnici legati alla piattaforma per la prenotazione delle proiezioni per gli accreditati, alla fine ciò che conta davvero sono i film. E non possiamo di certo lamentarci. Nei primi due giorni sono stati tre i titoli che hanno entusiasmato il pubblico in Laguna: il film di apertura White Noise di Noah Baumbach, il folle Bardo, falsa crònica de unas cuantas verdades di Alejandro G. Iñàrritu e l’emozionante Tàr di Todd Field.
Il primo, targato Netflix, è tratto dall’omonimo romanzo di Don DeLillo e vede protagonisti Adam Driver, la moglie del regista Greta Gerwig e Don Cheadle. Ambientato negli anni Ottanta, White Noise racconta la storia di una classica famiglia borghese americana: lui professore massimo esperto di Hitler, lei insegnante di ginnastica posturale con costanti vuoti di memoria causati da una pillola misteriosa, e con loro ben quattro figli. La loro vita viene travolta dall’arrivo di una spaventosa nube tossica provocata da un incidente; e l’evento mette tutti di fronte alla paura più grande: quella di morire. Pur non convincendo appieno – per Baumbach è sicuramente un passo indietro rispetto al suo ultimo, bellissimo film Storia di un matrimonio – il film è un’affascinante satira sociale che si muove tra il dramma e la commedia, tra la disperazione e l’umorismo, che mette sul piatto tante tematiche (religione, isteria di massa, guerra etc) e che inevitabilmente offre la possibilità di riflessione sui nostri tempi.
A soddisfare completamente il pubblico e la stampa presenti al Lido è stato invece il secondo film Netflix del concorso ufficiale, l’attesissimo film del già Leone d’Oro Iñàrritu. Bardo è senza dubbio l’opera più personale finora firmata dal regista. Con echi felliniani, il premio Oscar la storia di un importante giornalista e documentarista messicano da vent’anni trasferitosi a Los Angeles con moglie e due figli. Tornato in patria per ricevere un premio, il viaggio di ritorno nel suo paese d’origine diventa per lui il momento di affrontare se stesso e di sprofondare in una difficile crisi esistenziale. Non seguendo una narrazione convenzionale, Bardo si presenta come una mappa simbolica esasperata, un flusso continuo di sogni e immaginazioni, dove il protagonista fluttua, balla, si muove per paesaggi desertici, fa i conti con i traumi del suo passato, riflette sulla sua natura di “migrante” e di conseguenza sull’attuale rapporto socio-politico tra Messico e Stati Uniti. Un film folle, insomma, che nelle sue quasi tre ore di durata travolge completamente lo spettatore in un vortice di suggestioni visive e di situazioni iperboliche. A patto che si stia al gioco, però. In ogni caso, non è azzardato ipotizzare già da adesso la presenza di questo titolo nel palmarès finale.
Palmarès dove non potrà mancare neanche Tàr di Todd Field, o meglio la sua protagonista Cate Blanchett. Un film sontuoso ed elegante, che mette in scena tre settimane della vita di Lydia Tár, omosessuale famosa direttrice d’orchestra, prima donna a condurre la Berlin Orchestra. Scritto su misura per l’attrice premio Oscar e da lei dominato dall’inizio alla fine. Una prova attoriale superlativa che la candida impetuosamente per la Coppa Volpi e la proietta già verso i prossimi Academy Awards.
di Antonio Valerio Spera per DailyMood.it