“La chirurgia è il nuovo sesso”. Lo dichiarano, e lo fanno più volte, i protagonisti di Crimes Of The Future, il nuovo, attesissimo, film di David Cronenberg, in arrivo nei nostri cinema il 24 agosto, dopo essere stato presentato al Festival di Cannes. Si tratta di un film a tinte forti, particolarissimo, che riporta il maestro canadese al body horror, alla poetica delle mutazioni e della “nuova carne” che lo ha resto famoso nel corso della sua carriera. Cineasta sopraffino, ma anche profondo analista della natura umana, con Crimes Of The Future David Cronenberg vuole provare, ancora una volta, a capire dove stia andando l’essere umano, chi – o che cosa – diventeremo nel futuro. Lo fa con un film che ovviamente è inquietante, ma anche affascinante. E, soprattutto è denso di temi e di riflessioni.
Al centro della storia c’è Saul Tenser (Viggo Mortensen), un artista che vive per far mutare il suo corpo, e farsi crescere all’interno nuovi organi, che poi si fa estrarre, in quelle che sono delle vere e proprie performance artistiche, dalla sua campagna Caprice (Léa Seydoux). Lei faceva la chirurga traumatologica, ma, nel momento in cui lo ha incontrato e lo stava operando, in entrambi è scattato qualcosa. E ha lasciato tutto per seguirlo e creare arte insieme a lui. Le loro performance vengono fatte con una vecchia macchina per le autopsie, una sorta di sarcofago con delle braccia meccaniche con dei bisturi alle estremità, con le quali, da lontano, opera e disegna tagli sul suo corpo. “È il mio pennello” dice lei. Anche il sesso, tra i due, avviene dentro questa macchina. Il sesso tradizionale non basta più, servono i bisturi e i tagli. La loro vita si complica quando un uomo propone loro una nuova performance, legata al figlio che è venuto a mancare.
David Cronenberg, come non faceva da anni, porta di nuovo sullo schermo corpi mutati, deformati, perforati, trafitti, violati. “L’arte ha a che fare con il dolore”, sentiamo dire nel film. E Cronenberg intercetta qualcosa che è già insito nell’uomo. L’esperienza del piercing, se ci pensiamo, è qualcosa che non è legata solo all’ornamento del proprio corpo ma all’intera esperienza a cui si è sottoposti, alla perforazione e al dolore che ne deriva. Cronenberg prende parte di questo aspetto e lo porta all’estremo, ma è solo una parte della sua riflessione. Il regista canadese pensa anche alla chirurgia. Prendiamo la chirurgia estetica. Nel mondo futuro che immagina, questa ha un’altra valenza: non quella di migliorare l’estetica dei nostri volti e dei nostri corpi, non quella di correggerne i difetti o impedire i segni dello scorrere del tempo. Ma quello di creare una rottura con il proprio aspetto fisico, quello di distinguersi dagli altri corpi e dagli altri volti, quello di diventare in qualche modo opere d’arte, pezzi unici. É qualcosa che va in senso contrario all’odierna concrezione della chirurgia, ma qualcosa che stiamo già vedendo. In quei volti bellissimi deturpati permanentemente dai bisturi forse Cronenberg vuole portare all’estremo quel bisogno, già in atto, dell’essere umano di modificarsi continuamente, di riscrivere i propri tratti. Forse è il portare all’estremo quello che già accade oggi, in certi casi, quell’intervenire così spesso, e così pesantemente, sui propri corpi e sui propri volti pensando di diventare più belli, finendo però (quante volte lo abbiamo detto?) per deturpare quei corpi e quei volti. Ecco, questo deturpare involontariamente i propri connotati Cronenberg lo trasforma in una voglia esplicita, in un bisogno ormai conscio e consapevole.
C’è poi un altro discorso nella chirurgia, ed è quello da cui abbiamo cominciato. In quel “la chirurgia è il nuovo sesso” c’è un essere umano che ormai non riconosce più il piacere come lo aveva provato finora, e cerca emozioni sempre più forti. Anche questo, se ci pensiamo, è qualcosa già in atto, con persone che hanno bisogno di momenti sempre più estremi, ignoti, pericolosi per provare piacere. Cronenberg suggerisce che il piacere tradizionale non basta più, e che l’essere umano ha bisogno di emozioni sempre più forti: i tagli sul proprio corpo, il freddo delle lame d’acciaio, il dolore. E in questo Crimes Of The Future si avvicina a Crash, lo storico film di Cronenberg del 1996, in cui i personaggi provavano piacere dall’assistere a incidenti stradali, dal contatto con le lamiere ritorte delle auto incidentate, da corpi tenuti insieme da viti e assi d’acciaio. Il dolore come piacere e il piacere come dolore è un tema su cui l’uomo riflette da anni, pensiamo al Marchese De Sade. Eppure Cronenberg riesce, nei suoi film, a ragionarne in senso di evoluzione, di mutazione dell’uomo, di compenetrazione tra organico e inorganico, di arti artificiali che diventino l’estensione del nostro corpo naturale. Ogni film di David Cronenberg allora è un piccolo grande trattato di antropologia.
Ma non c’è solo il buon vecchio Crash in Crimes Of The Future. Perché l’ultimo film di Cronenberg sembra racchiuderne molti altri, come se il regista canadese volesse fare una summa del suo cinema e creare il suo film definitivo. Ci sono sicuramente anche Inseparabili, che era la storia di due ginecologi, gemelli, che erano affascinati dalla “bellezza interiore”, intesa non come quella della nostra anima, ma quella dei nostri corpi, quella che loro, scrutando all’interno del corpo femminile, riuscivano a trovare, ad apprezzare, ad amare, Tra l’altro, anche in quel caso, usando freddi strumenti d’acciaio che loro stessi contribuivano a creare. Si parla anche qui, infatti, di “bellezza interiore”, quando il Saul di Viggo Mortensen si iscrive a un concorso dedicato appunto alla “bellezza interiore”, cioè quella degli organi interni, per il miglior organo creato ex novo. E poi in Crimes Of The Future c’è senza dubbio eXistenZ, con le appendici del letto e della poltrona sui cui Saul mangia, veri e propri arti e cordoni che mettono questi oggetti senzienti in contatto con il suo corpo per assecondarne i movimenti ed eliminare il dolore. Il gamepod di eXistenZ era una consolle organica che, tramite una sorta di cordone ombelicale, entrava in contatto con il nostro corpo per permetterci di entrare nel mondo del videogioco e, al contempo, cogliere le nostre paure, le nostre sensazioni e i nostri ricordi per inserirli nel gioco. Allo stesso modo i cordoni di questo letto e di questa poltrona comunicano con il nostro corpo per anticipare i nostri dolori e mettere il nostro corpo nelle condizioni di non soffrire. Così, quegli esseri umani che sono mutati al tal punto da secernere un liquido in grado di sciogliere e digerire la plastica e le materie artificiali ci fanno pensare a La Mosca.
Sì, c’è anche questo in Crimes Of The Future, l’idea che l’essere umano si sia evoluto in modo che il suo corpo possa digerire, e così eliminare, i suoi scarti industriali. Auspicio per ovviare alle risorse che si stanno esaurendo, o nemesi per un’umanità che produce troppi scarti e in qualche modo deve rimettere in equilibrio il pianeta? Come vedete ci sono tanti, forse addirittura troppi spunti in Crimes Of The Future e, come vedete, tutto torna nel mondo del cineasta canadese, come se fossimo in un Cronenberg Cinematic Universe. Il suo è un film che tiene costantemente acceso il cervello dello spettatore, forse un po’ meno il cuore, per come la messinscena, la recitazione degli attori e la sceneggiatura lavorano per non creare pathos ma per farci riflettere su noi stessi.
Per questo ha perfettamente senso il lavoro sugli attori. Che si muovono in ambienti spogli, fatiscenti, abbandonati, e a loro volta sembrano quasi asettici, insensibili e, coerentemente al film, semplicemente corpi destinati a diventare materia da plasmare nelle mani dell’artista, a diventare parte dell’opera d’arte complessiva che è il film di David Cronenberg. I tre protagonisti principali appaiono spogliati di ogni aura divistica. Viggo Mortensen è in scena invecchiato e glabro, senza sopracciglia né barba, i capelli grigi e corti, le rughe e le espressioni minimali che mostrano una sofferenza che, nel mondo immaginato da Cronenberg, sembra qualcosa che si possa tenere sotto controllo. Mortensen attraversa il film con un aplomb tutto particolare, con la serenità di chi ha scelto e accettato che il suo corpo sia destinato a soffrire, in nome dell’arte. Léa Seydoux, che è la compagna d’arte e di vita Caprice, appare anche lei in abiti minimali, una camicetta bianca, pantaloni caki morbidi e sneakers bianche, senza un filo di trucco e con dei capelli castani e corti che ci rimandano a un certo cinema francese degli anni Settanta. Cambia, con un rossetto rosso – che però non colora troppo un film che è costantemente ricoperto di una patina brunita che omologa tutto – con dei corpetti stretti e scollati nel suo momento, quello in cui l’artista vai in scena. Vedremo anche il suo corpo nudo, esile e formoso allo stesso tempo, in un momento di intimità, e poi ancora il suo volto mutare in nome di una nuova bellezza, che non appartiene ai canoni a cui siamo soliti associarla. E poi c’è Kristen Stewart, reduce dai panni regali di Lady Diana in Spencer, ancora una volta sorprendente. Il volto livido e anonimo, i capelli raccolti, camicie retro e accollate, l’attrice si cala nei panni di Timlin, una funzionaria pubblica, una burocrate (fa parte di un dipartimento che sorveglia l’insorgenza di nuovi organi), di una signora in grigio. Ma quegli occhi affebbrati e curiosi, intrisi di desiderio, nel momento in cui si avvicina a Saul e al mondo dell’arte, sono il cuore della sua prestazione. Crimes Of The Future è così, un film stratificato, da vedere e da portare con sé per giorni e giorni dopo la visione, o da rifiutare in toto. Così è (se vi pare) David Cronenberg.
di Maurizio Ermicino per DailyMood.it
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