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The Batman: L’uomo pipistrello di Robert Pattinson è come Kurt Cobain

Due anni di oscurità mi hanno trasformato in un animale notturno. Credono che mi nasconda nell’ombra. Ma io sono l’ombra”. Parole oscure, nere come la pece, nere come una notte senza fine. Sono le parole che aprono The Batman, il nuovo, potentissimo adattamento del famoso personaggio nato dai fumetti di Bob Kane, che arriva al cinema il 3 marzo. Ad aprire il racconto è una voce off, quella di Robert Pattinson, che è il nuovo volto e il nuovo corpo dell’uomo pipistrello. E quella voce fuori campo ci fa capire subito in che mondo ci troviamo. Il nuovo Batman è un noir, un hard boiled, un thriller alla Seven, nell’anima e nei colori. Batman si trova alle prese con un’indagine, una vera e propria investigazione da poliziesco. Un serial killer sta uccidendo politici e notabili a Gotham City, e sta lasciando dei messaggi, che sono indirizzati proprio a Batman. Quei messaggi sono degli indovinelli, mentre sulla scena del crimine appaiono scritte con il sangue.

È la notte di Halloween, ma i mostri non sono finti, sono reali. È proprio in quella notte che vediamo entrare in scena Batman. Il suo ingresso fa paura. I suoi passi pesanti, il suono di quegli stivali metallici e sporchi di fango lo precedono. È un Batman che non usa molte armi e molti gadget. È un Batman che mena, che picchia duro. Sono pugni di rabbia, di dolori ingoiati e repressi. “Io sono vendetta” ci dice nel suo monologo interiore.

Something In The Way dei Nirvana intanto risuona, solenne e malata, grondante disagio. E allora capiamo che il Batman di Robert Pattinson è come Kurt Cobain. I capelli che ricadono sul volto emaciato, quell’espressione affebbrata, quegli occhi sbarrati. Questo Bruce Wayne è un disadattato, un ragazzo che ha subito dei traumi, che non è ancora un uomo. È lontanissimo dai Bruce Wayne eleganti e brillanti, almeno in apparenza, che abbiamo visto negli altri film di Batman. Quei personaggi riuscivano a nascondere il loro dolore. Questo non fa nulla per celarlo.

Quello di The Batman è un universo nero, un nero profondo squarciato da bagliori ambrati e rossastri. È il nero di una lunga notte senza luce, illuminata solo dal fuoco, dalle torce o dai fari delle macchine. È un colore che evoca esalazioni tossiche nella notte, è il colore di una città senza speranza, fumosa, malata. Matt Reeves è bravissimo nel creare un mondo gotico, eppure ancorato alla realtà, dove i luoghi chiave sono quelli di New York, Times Square e il Madison Square Garden, ma dove la città più luminosa del mondo sembra tornata indietro nel tempo, o avanti, in un medioevo prossimo venturo.

The Batman nasce come un film standalone, non vive all’interno di un universo condiviso, come quello della Marvel, o come quello che è appena stato anche nella DC. Non è pensato, per ora, come parte di una saga, o di una trilogia, anche se le premesse perché continui, a vedere il finale, ci sono tutte. È uno splendido romanzo, o, se volete, una graphic novel che prende vita, con quel nero spalmato sull’immagine che sembra davvero inchiostro vivo. È molto originale, perché, per essere un cinecomic, non è un’origin story, non c’è né la nascita dell’eroe né quella del villain. La storia inizia in medias res e trova tutti già così come sono. Se ci pensiamo, è logico visto che siamo in un thriller. Pensate a Seven, e a quel John Doe che lanciava indizi e messaggi, ma non si palesava fino alla fine. Non vedere il killer fino alla fine è un classico del thriller, ed è questo il campo in cui siamo. Ci sono solo degli sprazzi, un uomo vestito di spazzatura, con una maschera qualunque. Un punto interrogativo vergato a mano.

The Batman è un film che ci parla di verità e bugie, di promesse non mantenute. Ci racconta le bugie della politica di oggi, del nascondersi dietro una maschera di chi agisce su internet e sui social network. Per la prima volta, sembra quasi che Batman, tormentato e in cerca di vendetta, sia il vero volto del protagonista e sia Bruce Wayne la maschera: quegli abiti buoni, che non riescono mai a essere eleganti come nella tradizione iconografia del miliardario, sembrano essere giusto un travestimento, un modo posticcio e goffo per inserirsi quando proprio deve in una società in cui sente di non appartenere e sembra non riesca, o non voglia, mai davvero ad integrarsi.

Per raccontare tutto questo Robert Pattinson è perfettamente funzionale. Quel divo che abbiamo conosciuto come il vampiro Edward Cullen in Twilight, la cui pelle brillava al sole, ora è ricoperto di una coltre nera, che sia la tuta e la maschera di Batman o quel nero che resta sul volto una volta tolta. Ma è nera, cupa, la sua espressione, la sua anima. Lo avevamo sottovalutato, nella saga di Twilight ma anche nei suoi film con David Cronenberg, ma ora sembra davvero diventato adulto. Accanto a lui c’è un cast di prim’ordine: un irriconoscibile Colin Farrell, carico di trucco prostetico, è un Pinguino completamente lontano dal folclore dei fumetti ma anche dalla mostruosità di Batman – Il ritorno di Tim Burton, e finisce per avvicinarsi a certi laidi boss dei film di mafia. Jeffrey Wright è un sobrio commissario Gordon, Andy Serkis un Alfred più giovane e intraprendente, John Turturro un boss mafioso lontano dagli stereotipi. Paul Dano lo lasciamo scoprire a voi. Ma a diventare immediatamente iconica è Zoë Kravitz nei panni di Selina Kyle, una catwoman sinuosa, felina, ambigua e dolente. Guardate quella scena in cui scende dalla collina e se ne va nell’altra direzione in moto. Vi verrà voglia di seguirla, di andare con lei.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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