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Brad Pitt: L’Oscar e l’elogio della follia

Tanto tempo fa, in una città lontana lontana, entro in un cinema con amici. Il film che abbiamo scelto è Seven. Uno di loro ci chiede: “chi recita in questo film?” “Brad Pitt”, risponde una mia amica. “Ah, come dire Kim Rossi Stuart”, risponde lui. Detto che, a oggi, non sapremmo chi dei dovrebbe ringraziare per il complimento, all’epoca Rossi Stuart era ancora sinonimo dell’attore bello per eccellenza. E anche Brad Pitt, a quei tempi, era considerato ancora un gran figo e poco altro, quello che veniva da Thelma e Louise e Vento di passioni. Proprio grazie a Seven, dove veniva trascinato nel baratro delle ossessioni di David Fincher, cominciavamo a capire che era un attore di tutt’altro tipo, capace di mettersi in gioco, di giocare su registri al limite della follia. Più tardi avremmo capito che quell’insana follia poteva toccare corde ancora diverse, che sfioravano il brillante, il farsesco, il comico.

Brad Pitt, lo sapete ormai tutti, ha appena vinto il premio Oscar per il miglior attore non protagonista per il suo ruolo di Cliff Booth in C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino. Un regista che, non ha caso, ha valorizzato attori come John Travolta, Bruce Willis, Leonardo Di Caprio, utilizzandoli spesso contro ruolo, tirando fuori il loro lato nascosto e impensabile. Ma il nostro elogio della follia di Brad Pitt parte da lontano. Non tanto da Seven, dove era un uomo normale che provava a mantenere un minimo di senno in mezzo a una follia totale, né da Kalifornia, il suo primo ruolo da outsider, dove era un serial killer folle, ma recitato secondo stilemi tutto sommato tradizionali. La prima volta che Brad ci ha stupito davvero è stato L’esercito delle 12 scimmie (prima candidatura all’Oscar e vittoria al Golden Globe come miglior attore non protagonista). Non era certo una commedia, ma in quel film Pitt aveva un ruolo ben preciso, quello del fool shakespeariano, del matto shakespeariano, quello che nella sua pazzia rivela la verità. È stata la prima volta che lo abbiamo visto andare sopra le righe, con un’interpretazione che poteva essere tranquillamente uscita da Qualcuno volò sul nido del cuculo. Brad Pitt, con L’esercito delle 12 scimmie, ci ha fatto capire che non ci avrebbe quasi mai deluso.

Quell’interpretazione ha dettato una delle vie che Pitt, negli anni a venire, avrebbe seguito. Avrebbe continuato anche a fare film più tradizionali, dove ci avrebbe dato quello che ci aspettiamo, come Mr. & Mrs. Smith, mix di action e commedia brillante che verrà ricordato più per la sua vita privata (è avvenuto lì l’incontro con Angelina Jolie, che sarebbe stata la sua anima gemella per anni) che per l’effettiva qualità, in Ocean’s Eleven e i suoi seguiti, in Troy. Insomma è stato da un po’ di parti dove ci si aspetta di trovare un divo del cinema.

Ma la follia è continuata a vivere, sottotraccia, dietro al volto perfetto di Brad Pitt, dentro al suo corpo atletico. C’è stata la follia più drammatica, quella della schizofrenia, quella dell’indimenticabile Fight Club di David Fincher, un film geniale che anticipa quella scissione dell’Io, quello spaesamento tra reale e irreale che, vent’anni dopo, non ha fatto altro che aumentare. Fincher poi ha catapultato uno dei suoi attori feticcio in un incubo, o un sogno, quello de Il misterioso caso di Benjamin Button, un mistero che avrebbe portato alla follia qualsiasi personaggio. Un’altra grande interpretazione di Pitt, pur aiutato dalla computer grafica e dal trucco. Ma vedere, nel volto di un anziano, quegli occhi roteare di sorpresa come quelli di un bambino, è qualcosa di veramente speciale.

Ma è con il tocco di Quentin Tarantino che l’elogio della follia di Brad Pitt arriva definitivamente a compimento. Perché, com’è nelle corde dell’autore di Pulp Fiction, ci troviamo in un cinema in cui Brad Pitt riesce a muoversi restando costantemente in bilico tra serio e faceto, senza far prevalere uno dei due aspetti sull’altro, cosa che avrebbe spostato personaggi e film verso un territorio ben preciso. Il tenente Aldo Raine, protagonista assoluto di Bastardi senza gloria, e lo stuntman Cliff Booth di C’era una volta a… Hollywood, riescono ad attraversare i loro film in maniera quasi magica. Restano completamente, e costantemente, dentro il film, e non ci fanno mai dimenticare quell’alone di pericolo e di morte che permea quelle storie. Eppure vivono su un livello appena appena diverso rispetto alla storia che raccontano. Aldo Raine è duro, parla con parole secche e scandite, ha la mascella quadrata, piena come quella di Marlon Brando ne Il padrino. Ha un seme di follia in quello sguardo, che per noi diventa immediatamente divertimento, ma anche empatia. Empatia che con Cliff Booth è ancora maggiore: tutti vorrebbero avere un amico come lui, è stato scritto. Tutti vorrebbero essere lui, potremmo aggiungere. Sicuro di sé, sempre la cosa giusta da fare, Cliff Booth è uno che risolve problemi, come il Mr. Wolf di Pulp Fiction, e in una scena, per questioni di copione, indossa anche uno smoking come lui. Anche se, nel resto del film, ha il suo look fatto di jeans e t-shirt colorate. Lo sguardo, l’espressione con cui Cliff Booth attraversa tutte le vicende di C’era una volta a… Hollywood è qualcosa di unico: strafottente, (auto)ironico, beffardo. Perfetto per scene che sono già nella storia del cinema, come il combattimento con Bruce Lee, la visita nel covo della Family di Charles Manson e l’incontro con alcuni seguaci nel finale.

Altri attori hanno fornito prove eccezionali con Quentin Tarantino. Ma Brad Pitt è stato diverso. Proviamo a spiegare: John Travolta, nei panni di Vincent Vega di Pulp Fiction, è straordinario, ma per esserlo è entrato in un personaggio estremamente caricaturale, carico, costruito. Lo stesso Leonardo Di Caprio, nel suo primo film con Tarantino, Django Unchained, per entrare nel suo Calvin J. Candie, fa una di quelle sue interpretazioni espressionistiche, cariche, potenti, si imbruttisce lordando i suoi denti. Brad Pitt, in Bastardi senza gloria, ma soprattutto in C’era una volta a… Hollywood, crea un personaggio memorabile restando prima di tutto un figo, non è mai eccessivo, mai caricaturale, mai sfigurato. Gli basta poco. È come se Brad Pitt abitasse il mondo di Tarantino (lo sapete, vero? I suoi film non sono ambientati nella realtà ma in un mondo parallelo, che è quello del cinema) da sempre, sia nato lì, e sia uscito solo talvolta per altri ruoli, o per venire nel mondo dove viviamo noi. Lo dimostrano anche i suoi discorsi ironici in occasione dei vari premi che ha vinto (memorabile quello ai BAFTA, dove ha detto che la Gran Bretagna ora è single come lui). Se avete visto C’era una volta a… Hollywood sapete di cosa parliamo. Se non lo avete fatto, vedetelo (è disponibile in dvd) e capirete. Basta guardare per qualche minuto Brad Pitt e il suo Cliff Booth e vi sentirete immediatamente a casa. Cioè nel mondo di Quentin Tarantino. È il mondo del cinema, e dentro non poteva che esserci anche questo Oscar.

di Maurizio Ermisino per DailyMood.it

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