Judy, il film su Judy Garland che è valso a Renée Zellweger l’Oscar come miglior attrice protagonista, potrebbe rappresentare forse la quinta vita per l’attrice texana di origine svizzera. Con quello sguardo e quel fisico felino, probabilmente la Zellweger di vite ne ha sette. E allora siamo curiosi di capire quali saranno le prossime. Ma partiamo dall’inizio. Ricordate qual è stata la prima volta in cui avete visto Renée Zellweger? Ovviamente dipende da tante cose, ma in molti correrete indietro con il pensiero alla metà degli anni Novanta (era il 1996) e a Jerry Maguire di Cameron Crowe, un film diventato negli anni un piccolo cult, nel quale faceva innamorare Tom Cruise.
Si capiva subito che Renée Zellweger non era un’attrice qualsiasi. Gli occhi piccoli e stellati, le gote rotonde come quelle di una bambina, delle labbra che sembravano disegnate da un artista. E poi, soprattutto, quel modo così unico di essere attraente, sexy pur essendo impacciata, oppure sexy proprio nel suo essere impacciata, tenera ma anche orgogliosa e risoluta. In Jerry Maguire Renée Zellweger era una madre single, una timida segretaria che non si sentiva all’altezza dell’uomo a cui si era legata, ma in qualche modo riusciva a farlo innamorare di sé. Quella che, per il protagonista e quindi anche per il suo personaggio, era la storia di un nuovo inizio, è stato di fatto l’inizio della brillante carriera di Renée Zellweger. La sua prima vita è stata questa, quella dei film La voce dell’amore e Betty Love.
Ma proprio quel misto tra goffaggine e sex appeal ha dato inizio a quella che possiamo definire la seconda vita di Renée, quella dell’identificazione del personaggio di Bridget Jones, portata sullo schermo tre volte, ne Il diario di Bridget Jones (2001), Che pasticcio Bridget Jones (2004) e Bridget Jones’ Baby (2016). Ovviamente il mix, in questo caso, pende tutto verso il primo aspetto, e Renée Zellweger tira fuori tutta la sua verve comica per portare sullo schermo un’eroina in cui in tante si possono identificare: goffa, imbranata, combinaguai, con problemi di peso, di relazioni (a volte di bottiglia…) ma con un grande cuore e una grande carica. Per entrare in un personaggio che, in qualche modo, è entrato nella storia, Renée Zellweger ha lavorato molto sul corpo, ingrassando di diversi chili, e per ben due volte (meno in occasione del terzo capitolo): una scelta rischiosa per un’attrice in un mondo dove poi, ruolo a parte, devi apparire sempre in perfetta forma, senza il minimo difetto. Non è un caso che le oscillazioni di peso per entrare in un ruolo siamo abituate a vederle negli attori (Robert De Niro, Christian Bale), meno nelle attrici.
Ma Renée Zellweger, un passato da ginnasta, non ha lasciato nulla a caso. E solo un anno dopo il primo Bridget Jones la trovavamo tonica, atletica, il fisico nervoso e scattante nel ruolo di Roxie Hart nel musical Chicago, dove ha ricevuto una nomination all’Oscar. È la sua terza vita, quella dei ruoli di donna grintosa e combattiva, nemesi della sua Bridget, quella in cui dimostra che il mondo dell’Academy le è congeniale. Con l’epico Ritorno a Cold Mountain, del 2003, ha infatti vinto il suo primo Oscar, stavolta come attrice non protagonista (e, per la cronaca, anche un Golden Globe, uno Screen Actors Guild Award, un Critics Choice Award e un Premio BAFTA). Non male per una che voleva fare la giornalista, e che ha iniziato a studiare recitazione solamente per ampliare il curriculum… Sono gli anni in cui la ritroveremo anche nel ruolo della deliziosa scrittrice pseudo-femminista nella commedia vintage Abbasso l’amore (Down With Love) e nella scrittrice per bambini di Miss Potter.
Per qualche anno non l’abbiamo vista più sulle scene, dopo la relazione con Bradley Cooper, durata dal 2009 al 2011. Per tutte le attrici arriva quel periodo in cui non sei più la giovane che può fare l’innamorata, e non è immediato prendere nuove strade. A volte, dopo una piccola pausa, cominciano a proporti ruoli da madre. Renee Zellweger ha fatto invece un percorso diverso. Siamo stati felici di ritrovarla, lo scorso anno, in What/If, la serie Netflix in cui interpreta la ricca e spietata Anne Montgomery. Nella prima scena del film la vediamo con la pelle avvizzita, i lineamenti induriti, il volto stanco. Quelle guance carnose e quegli occhi piccoli e scintillanti come diamanti che avevamo conosciuto in Jerry Maguire non brillano, ma sprizzano cattiveria. Ma nella serie la vediamo anche con un fisico tonico e muscoloso, le gambe affusolate, le spalle larghe e un vestito bianco che ricorda quello di Sharon Stone in Basic Instinct. Il ritorno di Renée è quello di una donna sexy, ma senza nascondere i segni del tempo.
Neanche il tempo di assaporare la quarta vita di Renée ed ecco la quinta. Parliamo di Judy, il biopic di Rupert Goold dedicato a Judy Garland che le è valso l’Oscar come miglior attrice protagonista. Judy coglie la diva – diventata famosa da bambina per Il mago di Oz – quando ha 46 anni, tre figli, è divorziata e senza una casa. Non mangia, non dorme, ha dipendenze da alcol e medicinali. Se in America nessuno la vuole più, a Londra è ancora una diva, e allora parte per l’Inghilterra per una serie di recital. Judy è in fondo un biopic classico, accademico e televisivo, sostenuto completamente dal corpo e dal volto di una Renée Zellweger brava, a volte troppo, a volte forse eccessiva nelle mossette e nella mimica facciale. Ma ha un sottotesto che è uno spietato spaccato dello star system. Uno star system che, però, stavolta le ha regalato un Oscar.
di Maurizio Ermisino per DailyMood.it